Venerdì 31 gennaio, apro La Repubblica e leggo – a firma di Goffredo De Marchis, giornalista attento e molto informato –, una frase che mi ha fatto saltare sulla sedia. In un articolo con il titolo “Cozzoli averte il CONI: la riforma va avanti”, De Marchis testualmente scrive: “D’ora in poi i rapporti con le Federazioni, l’impiantistica, i bandi per il supporto allo sport sociale e altri capitoli di spesa è giusto che li gestisca lo Stato, visto che mette le risorse, più di 400 milioni l’anno”.
Quel che mi preoccupa è che persino un giornalista documentato che viene dallo sport e che ha frequentato anche il CONI per lungo tempo, sia arrivato alla conclusione che sia lo Stato a finanziarie lo sport, tutto lo sport sia quello “agonistico” che quello “sociale”. Sul nostro giornale (www.sportolimpico.it) sia Gianfranco Colasante che il sottoscritto, pur essendo di “matrice CONI”, avevamo plaudito alla circostanza che finalmente lo Stato si occupasse di quella parte dello Sport che deve essere di sua competenza, vale a dire la Scuola e il “sociale”.
Di contro, ora pare diventato un merito (dimenticando quanto in seguito spiegherò), che per fare tutto questo lo Stato ci mette le stesse risorse precedentemente a disposizione del CONI per soddisfare le esigenze istituzionali, vale a dire quelle dello sport agonistico. Un po’ come fare partecipazione e nozze con i fichi secchi. Almeno per chi sperava (e non erano pochi) che questa sbandierata Riforma portasse linfa allo sport di base a vantaggio della salute dei cittadini ed alla cultura dei giovani, soddisfacendo finalmente quanto lo Stato aveva ignorato per oltre 70 anni. Ma non a detrimento del versante olimpico/agonistico. Come sta avvenendo.
Faccio un esempio. Nel medesimo articolo a firma De Marchis, il nuovo presidente di “Sport e Salute” afferma che sarà lui a disporre un “aiuto mirato alle piccole federazioni che non hanno la vetrina dei campioni di copertina”. Due considerazioni: a) non esistono federazioni piccole o federazioni grandi, ma solo federazioni che nel CONI hanno da sempre pari dignità e godono della medesima considerazione, specie in chiave olimpica; b) viene spontaneo chiedersi quale competenza abbia lo stesso Cozzoli per determinate quali siano le federazioni “piccole” e quali quelle “grandi”. La risposta è già nelle cose.
Torniamo ai 70 anni di cui dicevo e che hanno contraddistinto i rapporti tra organizzazione statale e istituzioni sportive. Non è mia intenzione raccontarveli tutti, ma esistono dei punti base che vanno tenuti presenti in ogni momento e sbaglia molto il CONI a non rammentarlo SEMPRE a chi di dovere. Ma visto che è possibile che politici, che poco sanno di sport, e anche giornalisti che non ricordino (o non vogliano ricordare), provo ad elencare alcuni di questi punti base:
1. Subito dopo la guerra, grazie alla lungimiranza di Giulio Andreotti e di Giulio Onesti, al fine di correggere l’influenza (chiamiamola così) che lo Stato aveva imposto nel “Ventennio” allo sport idearono un sistema, unico nel mondo, che dava un’autonomia allo sport, sia nelle competenze che nel finanziamento.
2. Il Totocalcio? Si è economicamente auto gestito, ha finanziato il Credito Sportivo ed ha versato alle casse dello Stato solamente nel decennio (1986/1996) qualcosa come 7.800 milioni di euro, vale a dire 20 volte più di quanto oggi lo Stato assegni allo Sport. E parliamo solo degli ultimi 10 anni. Molto di più se si considerano i 50 anni di vita del concorso pronostici. Tralasciamo di dire che a metà degli anni novanta la quota del CONI era oltre il doppio dei miseri 400 milioni di oggi, paragone di difficile valorizzazione se si considera che da allora ad oggi sono passati 25 anni e che in termini assoluti il valore del denaro era ben altro.
3. Poi complice lo Stato, e pronubi i dirigenti del Calcio di allora, con l’evidente scopo di dare una spallata all’indipendenza del CONI, regnanti Visco, Veltroni e la Melandri e, dispiace dirlo, l’allora presidente della Lega Calcio e membro CIO Franco Carraro, si “distrusse” il Totocalcio e il meccanismo dell’autofinanziamento introducendo lo “spezzatino calcistico” e il riconoscimento delle società di Calcio quali SpA oltre al lancio del SuperEnalotto. E soprattutto nel totale silenzio del CONI di allora.
4. Il resto è noto: a cominciare dal fatto che la FederCalcio continuò, fino alla revisione attuata da Malagò, a percepire i medesimi contributi di quando esisteva il Totocalcio (l’8% del lordo, come ticket – e che ticket! – che garantivano lo svolgimento delle partite del campionato alla stessa ora), unica Federazione di Calcio al mondo a ricevere contributi pubblici. La fantasiosa costituzione di “CONI Servizi” da parte del ministro Tremonti e la Riforma attuale varata da due governi di segno opposto, sono vicende dei nostri giorni.
Questa sarebbero i punti di una storia da cui ripartire per capire come si è giunti all’attuale situazione. Storia che ha vincitori e vinti ma anche non pochi colpevoli. Ma che ora si voglia far credere che grazie alla miseria di 400 milioni stanziati, sia oggi lo Stato a menare la danza e decidere su tutto lo sport, questo proprio no.
*Articolo ripreso da www.sportolimpico.it