La terza gara del Circus è a Imola, il 1° maggio 1994, con preliminari agghiaccianti: il venerdì Barrichello finisce in ospedale, il sabato muore Ratzenberger, ma si corre ugualmente: la domenica Senna parte al comando, al solito. Dopo 7 giri lo schianto all’esterno del curvone del Tamburello. Il tribunale sentenzierà che il cedimento della colonna dello sterzo della sua Williams ha causato l’incidente. Finisce un sogno, nasce un mito. Il destino ci sottrasse quel giorno un pilota e un uomo speciali, che evitava il più possibile di indossare maschere: Ayrton alle frasi di repertorio, di convenienza, ricorreva il meno possibile, cercava sempre di onorare la verità. La sua, perché il vero non è mai assoluto, oggettivo. Indimenticabile, nel 1991, la sua ammissione che a Suzuka, l’anno prima, Prost e la Ferrari li aveva mandati fuori pista apposta, non per vendicarsi ma per fare giustizia. Le antipatie, che pure aveva, come tutti, non sconfinavano mai nel rancore, figuriamoci nell’odio, che non conosceva e non solo perché la Bibbia era la sua lettura preferita. Risolveva così la questione: “la vita è troppo breve per avere dei nemici”.
Il mondo della Formula 1 è via via peggiorato, con gli uffici stampa delle Case e i manager dei piloti che da tempo negano ogni approccio diretto, nella logica di preservare la tranquillità del loro assistito. Senna era tutt’altro, quando aveva considerazione dell’interlocutore andava oltre le formalità e i filtri, bastava fissare ora e luogo e non c’era domanda cui lui si sottraesse. In quelle occasioni gli piaceva parlare di tutto: corse, viaggi, amore, amicizia, religione, problemi del pianeta. Amava pure fare scherzi, un po’ meno subirli ma quasi tutti, non solo i piloti, sono permalosi.
Non era soltanto più abile di altri nelle traiettorie o capace di governare come nessuno la monoposto sul bagnato – forte delle esperienze sui kart –, sapeva dosare le parole, soprattutto emozionare. In Senna, volta per volta allegro o serioso, malinconico o duro, ma mai cinico, potevi trovare aperture improvvise, persino la testimonianza dei suoi colloqui con Dio, un rapporto in cui credeva fermamente. Sapeva sostare al centro dell’attenzione, ma ne aveva estrema riluttanza. Era timido, a volte malinconico, pensieroso perché teneva agli altri, soprattutto a chi non aveva avuto la fortuna di nascere in un mondo di agiatezze com’era toccato a lui.
Era un uomo di rigore assoluto e questo spiega bene la sua ferocia agonistica. Avendo cognizione del suo talento intendeva rispettarlo in ogni occasione. Era un perfezionista, nulla lasciava al caso, cacciava l’aria dai polmoni per consentire al meccanico di stringere sempre più le cinture di sicurezza per fare corpo unico con la macchina. Quando era nell’abitacolo potevi passargli davanti dieci, venti volte, salutarlo. Non ti avrebbe degnato di uno sguardo, tanto era concentrato, determinato a cercare la perfezione cui aspirava.
La determinazione e la grinta erano figli della necessità che aveva di affermarsi, di mostrare di avere un ruolo nella società, oltre che in famiglia. Le corse, a partire da quelle con i kart, risultarono il mezzo più opportuno per allontanare la nomea di fortunato rampollo dei da Silva. Non a caso scelse poi, come Nelson Piquet, di utilizzare il cognome della madre. Certo, i vantaggi per lui non furono pochi, a partire dal trasferimento in Inghilterra che a ventuno anni gli consentì di allontanare i pensieri delle enormi contraddizioni del suo Brasile. Altri, non lui, fingevano di non vederle. E l’Inghilterra lo ripagò annotando il suo enorme talento e gli aprì, dopo soli due anni, le porte della Formula 1.
Andava di fretta Ayrton, anche nella vita, commettendo anche qualche sventatezza: un buon esempio è il suo matrimonio con Lilian Vasconcelos senza la minima idea di che cosa fosse un legame duraturo. Mai indulgente con se stesso, era costretto a essere sempre il migliore perché aveva ricevuto in dono dei talenti che non poteva sprecare. Sensibilità di guida, controllo al limite, preparazione fisica ottimale, gigantesca capacità di concentrazione: ecco spiegate le sue pole position, i suoi successi, frutto di dedizione totale al mestiere. Quanto alle prospettive, aveva le idee molto chiare: quando all’apice della carriera lo cercò un paio di volte anche la Ferrari, Cesare Fiorio è buon testimone di quei tentativi, Ayrton rispose “no grazie, non ora”.
Sergio Meda