Il 1° agosto 1976 il ferrarista Niki Lauda è protagonista di un terribile incidente al Nürburgring durante il GP di Germania. La sua Ferrari numero 1 sbanda, un’uscita di pista paurosa; poi le fiamme. Arturo Merzario si ferma, scende di macchina e si getta in mezzo al fuoco per salvare la vita al pilota austriaco. Alcuni giorni passati in bilico tra la vita e la morte, – non tanto per le terribili ustioni riportate sul viso, quanto perché i suoi polmoni avevano respirato i fumi tossici della combustione – poi la rinascita.
Passano solo poche settimane e Lauda si presenta a Maranello. Sconvolge tutti per l’aspetto, per quei tremendi segni di fuoco che gli hanno deturpato quasi completamente il capo e le mani. Ma è pronto per tornare in pista.
Trentadue giorni dopo l’incidente del Nürburgring, Lauda sale nuovamente su una F1 mentre Enzo Ferrari, che non credeva in un suo recupero così repentino, aveva già ingaggiato Carlos Reutemann per sostituirlo a partire dal GP d’Italia.
Lauda, sofferente, martoriato dalle ferite che gli fanno tremendamente male, ma lucido e spinto a dare ancora di più da quella mancanza di fiducia che nota in tutti gli uomini del Grande Vecchio. Giunge incredibilmente quarto. Non fa punti a Mosport, ma si presenta ugualmente in testa di 3 punti su James Hunt all’ultima gara decisiva per l’assegnazione del titolo: il GP del Giappone. Sul circuito di Fuji piove come dio la manda e dopo pochi giri Lauda rientra ai box, si slaccia le cinture e scende dall’abitacolo: «Basta. La macchina è a posto. Io ho paura. Non ha senso rischiare la vita in questo infermo». L’ingegner Mauro Forghieri, con senso pratico, gli urla: «Fai come vuoi. Diremo ai giornalisti che si è rotto qualcosa nella macchina. Va bene?». «No, dovete dire la verità: che Lauda ha avuto paura di proseguire».
Lauda, che era stato campione del mondo nel 1975, perde quel mondiale per un punto a vantaggio di James Hunt; poi rivince nel 1977 e ancora nel 1984 con la McLaren con mezzo punto di vantaggio su Alain Prost.