Sin da bambino, a parte la passione per le corse spuntata all’improvviso quando suo padre Anthony gli regalò un’automobilina elettrica e successivamente, con grandi sacrifici, lo ha portato a gareggiare nei kart, Lewis Hamilton si è costruito da solo. Aveva 10 anni quando gli presentarono Ron Dennis, boss della McLaren ed ebbe il coraggio di chiedergli di aiutarlo e di trovargli degli sponsor. Da allora è stato sempre un crescendo di risultati e di vittorie, anticipando quello che oggi viene considerato il fenomeno dell’ultimo decennio, cioè Max Verstappen. Fino al quarto titolo Mondiale conquistato in Messico e con la prospettiva di aumentare ancora il bottino.
Ragazzo di colore, padre di origini caraibiche, madre inglese, Lewis nacque il 7 gennaio 1985 a Stevenage, città di circa 80 mila abitanti dell’Ertfordshire, a una cinquantina di chilometri a nord di Londra. Le scuole d’obbligo, ma nulla di più, perché era la pista che prendeva il suo tempo. E ha cominciato girare, con pochi mezzi, prima l’Europa, poi il mondo, fino ad arrivare, già plurititolato nelle categorie minori alla Formula 1. Un ambiente che all’inizio lo ha guardato più come una curiosità che da potenziale campione, pur essendo consapevole del fatto che aveva già vinto in Formula Renault 2.0, nelle Euroseries di F3 e in GP2. Ma lui ha cominciato subito a stupire.
Il resto è noto: la battaglia con Alonso in McLaren nel 2007, il primo mondiale l’anno successivo, soffiato a Massa all’ultima gara e a 38 secondi dalla fine del GP del Brasile, le tre sfide con Rosberg, delle quali una persa lo scorso anno. Infine il poker di Mondiali per merito suo e anche per i colpi persi dalla Ferrari. Nel frattempo Hamilton è diventato protagonista non solo nel circus dei motori ma anche nella sua vita privata, diventando una star globale. Una figura sotto certi aspetti carismatica, molto vicina ai teenager, anche se lui di anni ne ha già 31. Dai tatuaggi alle strabilianti collane d’oro e diamanti, dagli occhiali sempre scuri al cappuccio indossato quasi perennemente nel paddock, dalla presenza costante nei social dove illustra tutte le sue imprese, donne, sport estremi, alla passione per gli animali, dai cani alle tigri, all’affetto per i bambini. Una persona a 360 gradi, che resta comunque un po’ misteriosa, capace di frequentare il jet-set, gli ambienti artistici e nello stesso tempo di isolarsi.
Lewis in pratica nel paddock non ha amici, non frequenta, persino snobba gli altri piloti. Qualcuno lo accusa: si sente superiore. Come pilota però è indubbiamente un fuoriclasse: fra le sue qualità principali con c’è solo il talento naturale. Ha determinazione, coraggio, forza fisica e mentale alle quali ha aggiunto l’esperienza maturata misurandosi con compagni di squadra e rivali fortissimi, come Alonso, Rosberg e Vettel. In fatto di marketing personale è secondo a nessuno: basti dire che solo quest’anno è riuscito a dire ai tifosi di tre Paesi diversi che sono i migliori al mondo. Lo ha dichiarato agli inglesi di Silverstone, ai giapponesi di Suzuka e ai messicani nell’ultima gara. Nel 2013 riuscì ad affermare che si annoiava guardando la tv perché vinceva sempre Schumacher. Il riferimento era rivolto, quell’anno, al dominante Vettel. Con il tedesco sempre favorito a suo avviso i fan si addormentavano. Cosa che non succede, ovviamente, ora che a imporsi con una Mercedes nettamente superiore è il signorino Hamilton.
Ora il campionato è praticamente finito. E’ vero, restano ancora due gare da disputare in Brasile e ad Abu Dhabi. Non conteranno più per il presente, ma per il futuro. La maggioranza delle squadre lavorerà già per il 2018, provando qualche nuova soluzione tecnica, mentre nelle officine verranno messi al dura prova con estenuanti test al banco le power unit, visto che il regolarmente prevede l’utilizzo di soli tre motori nel corso di tutta la stagione. A scannarsi un po’ in pista saranno ancora i piloti perché sono in ballo rivincite grandi e piccole, ambizioni, record da raggiungere, segnali da mandare per conquistare un volante o difendere il proprio posto.
L’unico privo di pensieri sarà Lewis Hamilton. Conquistato il quarto Mondiale, punterà a vincere le gare che restano perché la voglia di successo è nel suo DNA, ma senza pressioni. Anche perché a breve dovrebbe firmare un rinnovo di contratto con la Mercedes per altri tre anni. Poiché si è già assicurato quello del
prossimo, si parla di una scadenza 2021, per un ingaggio valutato dagli esperti di 40 milioni di sterline, cioè 120 complessivi, il più alto mai pagato in Formula 1.
Se Hamilton che, nel mese di gennaio dovrebbe ricevere dalla Regina Elisabetta il titolo di Sir, paragonabile a quello di baronetto per meriti sportivi, è diventato il pilota britannico più vincente di tutti i tempi, ci si chiede se si avvia ad essere anche il migliore di tutti i tempi. Lui dice di non fare calcoli, ma sta molto attento ai record. E ne ha già ottenuti molti. Tuttavia se stiamo ai numeri il più forte di sempre resta l’argentino Juan Manuel Fangio.
E’ difficile paragonare piloti di epoche diverse per troppi motivi, basti pensare, per esempio, a quelli che avevano un gran talento ma non hanno mai guidato un’auto dominante. Fangio, fra l’altro, è stato bravissimo a cambiare da una squadra all’altra cavalcando la monoposto giusta. Però anche questo è un merito, se guardiamo ad Alonso che ha sbagliato più di una volta e oggi potrebbe vantare almeno 5 titoli per le doti dimostrate.
Restando ai numeri, Fangio è ancora in testa in base alla percentuale di vittorie conquistate in base al numero di GP disputati, nel numero di pole position rispetto al ridotto numero di GP effettuati e nella media punti ottenuti nelle 51 corse cui ha partecipato. Hamilton però si sta avvicinando parecchio. E avrà ancora diversi anni per risalire in queste classifiche. Da allora è stato sempre un crescendo di risultati e di vittorie, anticipando quello che oggi viene considerato il fenomeno dell’ultimo decennio, cioè Max Verstappen. Fino a questo quarto titolo e con la prospettiva di aumentare ancora il bottino
Cristiano Chiavegato