“Giocavo a basket, ma mi piaceva il rugby. Per cambiare sport, ho dovuto picchiare un arbitro e prendere una squalifica a vita” (Martin Castrogiovanni). “Con un padre calciatore, milanista, innamorato di Gianni Rivera, per me giocare nel Milan è stato realizzare il primo sogno della mia vita” (Rino Gattuso). “Mai saltato un allenamento. Però gli allenatori li odiavo” (Castrogiovanni). “Sapevo di essere scarso. Così a Milanello entravo la mattina e uscivo la sera” (Gattuso). “Un giorno a un allenatore ho chiarito le idee. In un parcheggio. A cazzotti” (Castrogiovanni). “Il massimo lo dai quando giochi per l’allenatore” (Rino Gattuso). “Con i club ho vinto tanto e tutto, con la Nazionale no. L’ho accettato, però mai digerito” (Castrogiovanni). “Campione intercontinentale con il Milan e campione del mondo con l’Italia. E così ho realizzato anche il secondo e il terzo sogno della mia vita” (Gattuso).
Una vita da pilone e una vita da mediano: a teatro. E’ successo lunedì scorso, al Brancaccio di Roma, prima puntata della rassegna “Sport tra epica ed… etica”, sei appuntamenti con uomini e donne di sport, intervistati da Marco Mazzocchi. Castrogiovanni e Gattuso, protagonisti sul campo, sono stati mattatori anche sul palcoscenico. Fra ricordi (“Contro gli All Blacks, Pierre Berbizier ci disse di non guardare la haka, noi gli spiegammo che sarebbe stata una mancanza di rispetto, ma alla fine decidemmo di obbedirlo, standocene dall’altra parte del campo e passandoci il pallone, poi cominciò la partita e in 30 secondi gli All Blacks ci distrussero un uomo e segnarono cinque mete”, Castrogiovanni; “Finale dei Mondiali 2006, ai rigori, 10 uomini in campo, uno nascosto sotto la panchina, e quello ero io”, Gattuso) e confidenze (“Pensavo di avere la sciatica, dopo una risonanza mi dissero che avevo un tumore e sei mesi di vita, mi operarono e un mese dopo ero in campo”, Castrogiovanni; “Ci vedevo doppio, triplo, quadruplo, giocai una partita chiudendo un occhio finché falciai un mio compagno, Alessandro Nesta, ipotizzarono anche un tumore, mi diagnosticarono una miastenia oculare, nonostante tutto tornai in campo a giocare e poi ad allenare”, Gattuso), fra citazioni (“Il rugby non lo capisco bene. Ci sono molte regole, la prima è che la palla si passa indietro. Ma sapete che cosa devo fare in campo? Abbassare la testa e spingere”, Castrogiovanni; “Non vado mai a vedere mio figlio giocare a calcio, altrimenti ammazzerei tutti gli altri genitori”, Gattuso) e autoironia (“Credo di essere intelligente, anche se non lo sembro”, Castrogiovanni; “Dopo il mese dei Mondiali del 2006, mi guardai allo specchio: Madonna – mi sono detto – quanto sono brutto”, Gattuso), il più spettacolare fra i rugbisti e il più rugbista fra i calciatori hanno regalato sprazzi di allegria, attimi di verità e varietà, perfino lampi di commozione.
Lo sport è un inesauribile patrimonio di valori e storie: i valori sono quelli di un’educazione che famiglia, scuola e società faticano a dare, le storie sono quelle che un microfono o un taccuino, e poi un documentario o un libro, liberano, trasmettono, moltiplicano, che spingono a sorridere e anche a riflettere, che aiutano a resistere e anche a vivere, che ci accompagnano e anche ci guidano. E che si tramandano. Castro e Rino, al Brancaccio, testimoniavano anche un mondo in rapida evoluzione: “Quella volta a Cardiff contro il Galles nel Sei Nazioni, perso di 70 punti, nello spogliatoio i miei compagni erano chi su Facebook, chi su Instagram, chi con le cuffie sulla musica, mi sono arrabbiato e li ho presi per il collo” (Castrogiovanni), “Ai miei giocatori gliene ho già spaccati tre o quattro, poi glieli ho dovuti ricomprare, ma i telefonini stanno ammazzando squadre e spogliatoi” (Gattuso).
E lo sport è anche teatro. Purché il teatro non diventi televisione, e di quella con meno qualità. E’ invece ciò che è rischiato di accadere al Brancaccio: i dialoghi interrotti dalla regia con fischi che annunciavano fotografie e con campanelli che segnalavano schermate, l’intimità involgarita da ammiccamenti e parolacce, i temi (epica ed etica) trascurati o sorvolati, le continue richieste di applausi. Peccato anche per la politica dei prezzi, troppo alti: 29 euro per un biglietto intero e 21 per uno ridotto sono proibitivi per un mondo che, alla sua base, si regge solo grazie al volontariato, ai volontari e alla buona volontà. Castrogiovanni e Gattuso avrebbero meritato una platea ricca di ragazzi di scuole, squadre e – perché no? – anche strade. La loro testimonianza ha dimostrato di essere molto più convincente di quella di insegnanti abituati, più di loro, a tenere lezioni e relazioni.
Il tiro dovrà essere corretto per i prossimi appuntamenti: il 20 novembre con Maurizia Cacciatori (pallavolo), Jack Galanda (basket) e Roberta Vinci (tennis); il 5 dicembre con Paolo Di Canio (calcio( e Simone Moro (alpinismo); il 22 gennaio con Ivan Basso (ciclismo), Fiona May (atletica) e Valentina Vezzali (scherma), sempre alle 21. Previsti anche gli interventi di Giancarlo Fisichella (F.1), Cesare Prandelli (calcio), Deborah Compagnoni (sci) e Giovanni Soldini (vela). E non mancheranno le occasioni per approfondire i rapporti fra sport e politica (Di Canio) e fra sport e doping (Basso). Una necessità sempre più urgente.
Marco Pastonesi