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Che cosa c’entrano un imprenditore di frutta e verdura e una squadra di calcio della Germania Est? Apparentemente nulla, se non fosse che il personaggio in questione è Dino Manuzzi, presidente del Cesena a cavallo fra gli anni Sessanta e Ottanta. Astuto come ogni commerciante che si rispetti, l’imprenditore romagnolo ha rappresentato un cardine per il club bianconero tanto da esportare il calcio cesenate oltrecortina e legare il proprio nome a quello del celebre Stadio “La Fiorita”.
Per raccontare questa vicenda è necessario fare un passo indietro e tornare al 1964 quando il sindaco Antonio Manuzzi propone al protagonista della nostra storia la possibilità di acquisire la società sportiva, in grave difficoltà economica a causa dei debiti accumulati dal conte Rognoni. Dino Manuzzi fiuta l’affare e decide di accettare la proposta del consuocero dando vita a un sodalizio che porta il Cesena in quattro anni in Serie B e nel 1973 addirittura nella massima serie.
I bianconeri possono contare sull’appoggio de “La Fiorita” che ogni domenica si riempie oltre i limiti imposti dalla capienza massima di 28.000 posti sfruttando l’ausilio di ponteggi e tubi Innocenti. Un vantaggio non da poco che emerge in tutto il suo splendore nella stagione 1975-76 quando Manuzzi decide di puntare su Pippo Marchioro in panchina, reduce dalla promozione nella massima serie con il Como.
Il giovane tecnico milanese è cresciuto all’ombra di due giganti come Niels Liedholm e Gigi Radice e prende spunto dal calcio olandese che proprio in quel periodo fa impazzire il mondo con il suo gioco a zona applicandolo in una squadra rinforzata dagli arrivi di Mario Frustalupi e Giancarlo Oddi. Il Cesena rischia di sorprendere il Napoli in Coppa Italia, ma i partenopei non si fanno ingannare e all’inizio della stagione eliminano i bianconeri dal torneo. Questa situazione favorisce i cesenati che si concentrano in campionato chiudendo al sesto posto che, complice la differenza reti, gli consente di precedere i “cugini” del Bologna e centrare l’accesso in Coppa Uefa proprio grazie al trionfo del Napoli che nel frattempo ha conquistato la Coppa Italia.
Il club romagnolo si prepara quindi a esser il primo club in Italia a fare capolino nelle competizioni europee senza appartenere a un capoluogo di provincia, ma il sorteggio non è certo dei più benevoli. Dall’urna spunta il Magdeburgo, squadra della Germania Est capace di superare il Milan nella finale di Coppa delle Coppe 1974. Un club dal pedigree europeo che sa di poter sfruttare il fattore campo in un periodo dove attraversare la “Cortina di Ferro” significa lanciarsi in un’avventura dall’esito incerto.
Il Cesena si presenta senza il suo condottiero Pippo Marchioro, passato proprio fra le fila rossonere, e decide di affidarsi al bergamasco Giulio Corsini, reduce da una brutta esperienza con la Lazio l’anno precedente. I romagnoli possono contare però sull’esperienza in campo europeo di alcuni giocatori come Pierluigi Cera, Bruno Beatrice, Giancarlo Oddi e Mario Frustalupi oltre che sull’eccletticità del portiere Lamberto Boranga, ritiratosi dal mondo del calcio all’età di 77 anni.
Tutto ciò non basta per affrontare una squadra compatta e fisica come quella guidata da Jürgen Sparwasser, eroe della DDR ai Mondiali 1974 con il celebre gol realizzato ai “cugini” dell’Ovest. I tifosi provenienti da Cesena sono qualche centinaio, ma il mondo oltrecortina fa paura a tutti. I romagnoli resistono sino al 26′ quando Wolfgang Steinbach porta avanti i tedeschi aprendo una frattura fra le certezze di Frustalupi e compagni. La tensione inizia ad alzarsi, i giocatori del Magdeburgo iniziano a colpire duro e l’arbitro sembra soprassedere. E’ in questo clima ad alta tensione che Gianluca Oddi prende la decisione di farsi giustizia da sé venendo punito al 37’ da un cartellino rosso.
“Lo stadio era immenso, pieno di gente, anche le distanze che si dovevano coprire fra gli spogliatoi e l’ingresso del campo erano vastissime. L’arbitro, nel controllo degli scarpini prima dell’ingresso, me li fece cambiare e, a causa di questo imprevisto, iniziammo più tardi la partita per via del tempo che avevo impiegato a tornare indietro. In campo quelli del Magdeburgo erano molto fisici e decisamente aggressivi. Mi ricordo infatti che, prima della mia espulsione, ci fu un episodio con il loro numero 8, Jürgen Pommerenke che dette un calcio a Boranga. Ogni scusa era buona per formare una mischia e creare i prodromi di una baruffa. Boranga e quelli del Magdeburgo discutevano animatamente e io così strattonai Pommerenke. In quel momento Sparwasser mi venne incontro tentando di darmi un cazzotto in pieno volto, che riuscii a schivare. In campo era accorso anche il massaggiatore della squadra e, da sdraiato, gli chiesi subito se l’arbitro avesse mandato via dal campo Sparwasser, ma lui mi rispose che non l’aveva nemmeno ammonito – racconta il difensore bianconero nel volume “Calcio e Martello, storie e uomini del calcio socialista” -. Io avevo il compito di occuparmi proprio di lui, iniziai a contrastarlo con cattiveria. Gli facevo falli su falli. In un momento della partita, prima dell’espulsione, gli diedi una gomitata talmente forte che se fosse stato un altro e non Sparwasser ci sarebbe secco. Non cadde nemmeno a terra e io restai dolorante tenendomi il gomito. Ancora adesso se distendo le braccia, il gomito destro non mi fa allineare completamente l’arto”.
Con un uomo in meno e moltissima rabbia in corpo il Cesena si scompone e lascia campo ai tedeschi che trovano la via della rete con Joachim Streich al 40’ prima di chiudere il conto all’87’ nuovamente con l’attaccante di Wismar. 3-0 e tutti a casa, verrebbe da dire, preparandosi a un ritorno dal destino segnato, che già sa di addio. Però Oddi e compagni sono tosti, forse anche più di Sparwasser tant’è che quando il Magdeburgo arriva sulle sponde del Mar Adriatico, loro sono pronti a tendergli una bella trappola.
I cesenati partono a razzo con Giorgio Mariani che al 29’ fa impazzire gli oltre quindicimila presenti sugli spalti. I tedeschi provano ad amministrare, ma è ancora il Cesena ad andare avanti con Fiorino Pepe che concretizza un lancio di 40 metri di Bruno Beatrice.La rimonta è ora possibile, lo spirito è quello giusto e il Cesena ha ormai il pieno controllo del gioco. I calciatori del Magdeburgo appaiono spaesati, quasi impauriti tanto quanto accade a Sparwasser al 70′ sembra uno scherzo: “Volevo fargliela pagare per quello che aveva fatto all’andata ed ero talmente pronto ad aggredirlo e stroncarlo, lui dalla paura toccò la palla appena per mandarla in rete. Fu l’errore più grande della mia carriera” ricorderà Boranga quarant’anni dopo.
Per il Cesena sembra finita, servono tre gol per passare in virtù della rete in trasferta del Magdeburgo, ma gli uomini di Corsini non vogliono darsi per vinti e al 74’ gonfiano ancora una volta la porta di Bernd Dorendorf con un colpo di testa di Emiliano Macchi. Finisce 3-1, un risultato amaro da buttar giù per il Cesena che a fine stagione lascerà anche la Serie A e rimarrà con il rimpianto di aver vissuto solo per una sera il clima di coppa.
Dino Manuzzi rimarrà presidente sino al 1980 quando, a causa dei postumi di un incidente occorso l’anno precedente, sarà costretto a lasciare la guida della squadra a Edmeo Luganesi. Quelle giornate rimarranno però così impresse nella memoria della città romagnola che nel 1988, con lo stadio “La Fiorita” abbattuto e sostituito da un nuovo impianto, si deciderà di dedicare la struttura a colui che aveva condotto il Cesena nell’Europa che conta.