L’exploit del giovane tennis italiano è iniziato esattamente un anno fa, con Lorenzo Sonego e quella indimenticabile settimana australiana in cui il torinese classe 1995 ha centrato per la prima volta in carriera (nonché al primo tentativo) il tabellone principale di un torneo del Grande Slam.
La vittoria maturata al primo turno degli Australian Open contro Robin Haase, ha dato il via ad un effetto domino per il quale si è innescata una irrefrenabile reazione a catena tutta tricolore fatta di inaspettati successi (come quello Matteo Berrettini a Gstaad), conferme (il best ranking sfiorato da Fabio Fognini) ed importanti rivelazioni (come la semifinale raggiunta da Marco Cecchinato al Roland Garros).
Una lezione, quella impartita da Lorenzo, che è arrivata puntualissima nei confronti degli scettici del tennis nostrano, a dimostrazione che la fiamma della Next Gen è viva e arde anche in Italia.
A crederci fortemente nel talento di Lorenzo è stato Gianpiero “Gipo” Arbino, storico coach dell’attuale n.107 della classifica mondiale, un uomo che ha fatto dell’andare controcorrente uno stile di vita e che adesso, ad appena due settimane dall’inizio del primo Slam della stgione, rilancia la sfida al tennis italiano con l’obiettivo di migliorare i risultati raccolti lo scorso anno, e lo sguardo rivolto verso la Top 50.
A che livello è arrivato come giocatore e quando ha cominciato ad allenare?
“Ho iniziato tardivamente, a 18 anni, e quasi per caso: sono un autodidatta. Tuttavia ho avuto la fortuna di essere molto preparato fisicamente perché ho sempre fatto sport. Sono arrivato a metà della seconda categoria di allora e ad un certo punto ho scoperto la grande soddisfazione che mi dava crescere i ragazzini”.
Qual è il suo credo come allenatore?
“Fare esattamente il contrario di quello che fa il gregge. Il mio motto è: l’aquila vola sola e i corvi a schiere. Non critico mai nessuno e credo che tutti possano farcela. Nessuno ha mai avuto fiducia in Lorenzo, e vederlo crescere ed arrivare a questi livelli è stata una vittoria grandissima per me. L’unico che mi chiedeva di lui ogni tanto era Riccardo Piatti, e questo fa capire quanto ci veda lungo”.
Come si riconosce il talento?
“Ho avuto la fortuna di individuare in Lorenzo molta grinta e molto cuore. In questo sport, oltre alle abilità coordinative, il carattere riveste un ruolo fondamentale. Per giocare a tennis devi possedere un grande equilibrio ed essere primariamente un lottatore”.
Il percorso di crescita di Lorenzo è stato favorito dalla FIT, in particolar modo attraverso il progetto Over 18. Quando e come è cambiato il rapporto tra la Fit e i coach privati?
“Con la Fit ho sempre avuto un ottimo rapporto e secondo me adesso funziona molto bene. Hanno allargato le proprie vedute esplorando altre realtà: sono andati in Francia, America, Germania… Si sono evoluti ed hanno preso dei tecnici nuovi come Umberto Rianna e Filippo Volandri. Ho notato il netto cambio di vedute e miglioramento proprio quando hanno avviato questo progetto Over 18, esattamente 4 anni fa. Prima le informazioni e le possibilità erano ridotte e a 19 anni eri già considerato “vecchio” se non avevi fatto dei grandi risultati. Finalmente hanno capito che i giocatori si esprimono bene dai 26 ai 35”.
Quali sono i coach privati che considera di riferimento in Italia e all’estero; e perché?
“Per me Riccardo Piatti è il coach privato più esperto in Italia. Ci ho lavorato diversi anni: è estremamente competente, ha un grandissimo occhio ed è una persona molto rispettosa. Poi ci sono Massimo Sartori e Paolo Cannova, in cui ho scoperto grandi qualità umane. Fra quelli esteri invece dico José Perlas, coach e persona straordinaria”.
Cosa suggerirebbe alla Federazione per migliorare ulteriormente la situazione del tennis maschile italiano?
“In questo momento trovare un neo è veramente difficile perché aiutano tutti (ovviamente sempre a fronte di risultati). Una cosa che però non funziona molto bene sono i fiduciari regionali: è assurdo che a Tirrenia non sapessero dell’esistenza di uno come Sonego. Non si può essere solo legati ai risultati Under, che contano veramente poco. Occorre avere un tecnico nella regione, possibilmente un allenatore aggiornato, che gira su segnalazione dei circoli e che individua i talenti da portare a Tirrenia. In questo modo si otterrebbe una scrematura molto più approfondita ed accurata”.
Tornando a Lorenzo, come e dove avete preparato la off-season?
“Abbiamo trascorso una settimana a Torino ed una decina di giorni a Tirrenia, dove abbiamo lavorato insieme a Matteo Berrettini e ad altri giocatori con l’affiancamento di Umberto Rianna. Successivamente siamo rientrati a Torino per poi prendere parte al Memorial Carlo Agazzi”.
Può replicare i risultati ottenuti lo scorso anno in Australia?
“Siamo arrivati in Australia grazie a dei risultati arrivati all’ultimo momento e per questa ragione eravamo già felici di esserci. Quello che abbiamo vissuto è stato un anno di sorpresa perché non mi aspettavo questi risultati. Lorenzo ha fatto molto di più di quello che ci eravamo prefissati. Nonostante il finale di stagione, in cui ha raccolto meno di quanto ottenuto fino a settembre, penso che in generale giochi meglio, quindi potrebbe benissimo replicare o fare addirittura meglio a Melbourne. Allo stesso tempo, però, abbiamo messo in preventivo il fatto che potrebbe attraversare un anno di assestamento, dove le cose non girano benissimo a livello di sorteggi e dove la fortuna potrebbe non essere dalla nostra parte”.
Cosa deve migliorare e dove può arrivare?
“È ancora in fase di crescita. Ha enormi margini di miglioramento e cose su cui dover lavorare, come: il fisico, il rovescio, la risposta, la posizione a rete e la volée di rovescio specialmente. Il mio obiettivo è portarlo nei primi 50 al mondo e può farlo, non gli manca nulla.Vincere con Gasquet e giocarsela alla pari con tanti altri ci ha dimostrato che è lì”.
Di Arianna Nardi