La Fortitudo Bologna è tornata in serie A dopo 10 anni. E non sembra neppure la Fortitudo, un mondo nel quale la passione e l’appartenenza hanno spesso trovato la sofferenza sportiva come unico modo di compiersi. Stavolta niente drammi, cambi traumatici, trionfi batticuore o vittorie sfumate di un soffio, beffe… La Effe è partita forte, con 9 vittorie di fila, tre conquistate sui campi delle avversarie dirette per la promozione, e non ha più alzato la testa dal manubrio restando in testa fino al traguardo. Verrebbe da dire facile, se non si sapesse che nulla lo è stato per una società diversa da tutte le altre, detto per una volta senza retorica.
Fallita, sparita, ad un certo punto, nelle serie minori, di società che si contendevano l’eredità della Fortitudo ce n’erano due, creando turbamenti e divisioni spesso incomprensibili viste dall’esterno soprattutto perché, una delle due, restava di chi l’aveva fatta fallire. Ma dopo i soliti rollercoaster di emozioni, su e giù, fino alla vigilia della stagione quando la società è stata truffata da chi gli fece firmare un accordo pluriennale con uno sponsor senza che lo sponsor ne fosse a conoscenza, oggi la Fortitudo nei modi e nelle logiche sembra quella di via San Felice che conoscevano quelli della mia generazione, famosa per averci regalato giocatori immortali come Baron Schull pur senza le risorse per lottare per lo scudetto. Una società storicamente meno ricca della rivale cittadina Virtus, se si eccettua la parentesi della presidenza di Giorgio Seragnoli, ma profondamente radicata in città tanto da avere un seguito enorme, costante, appassionato, morbosamente vicino alla squadra soprattutto nei momenti difficili. Oggi c’è una Fondazione Fortitudo che si basa su quattro soci fondatori, un presidente, Christian Pavani, che ha già annunciato un budget per la prossima stagione di A-1 di 3.5 milioni, che porrà la squadra nella zona tra la salvezza e la lotta per i playoff senza far immaginare scenari fantasmagorici o supremazie cittadine immediate. E un allenatore, Antimo Martino, che a fronte della difficoltà a prescindere che grava su chi guida la Fortitudo, ha interpretato la necessitàdi normalità di un gruppo forte ma comunque reduce da pressioni forti.
Oggi, probabilmente, il problema più difficile da risolvere in prospettiva serie A è la squadra, forse la più anziana anagraficamente in campo non solo in A-2, ricca di personaggi amatissimi come Stefano Mancinelli, che ancora la spiega a tanti ma che ha appena compiuto 36 anni (coetaneo di Guido Rosselli e Daniele Cinciarini) e con americani che da rivedere in ottica di A, anche se Maarty Leunen, che di anni ne compirà 34, resta uno scienziato della pallacanestro. Varrà la mozione degli affetti e della riconoscenza per chi ha riportato la Fortitudo in serie A o la necessità di adeguarsi ad un campionato con molti più stranieri e fisicamente di due livelli superiore? Sarà compito di Pavani e del g.m. Marco Carraretto, laureato in economia, pluricampione d’Italia con Siena, a deciderlo. Siamo convinti che al popolo della Fortitudo, in fondo, partire di nuovo come outsider e lanciare una sfida dal basso al basket italiano e alla Virtus faccia un po’ piacere. Sarà più bello per chi ha svolto un ruolo fondamentale nella rinascita (quest’anno, in A-2, sono stati acquistati in prelazione 4480abbonamenti della Fortitudo contro i 4117 della Virtus nella categoria superiore, e la vendita è finita lì per consentire la disponibilità di qualche decina di biglietti alle singole partite).
Che la Fortitudo torni in Serie A dopo 10 anni e quello che ha passato è una bella notizia per tutto il basket italiano, soprattutto per la marea di passione, interesse e di pubblico che porterà con sé. Ma che fosse una bella notizia per il basket italiano lo è stato detto, e lo è, anche per il ritorno di Trieste e Torino, oggi davanti a un momento difficilissimo, l’una col proprietario arrestato per frode fiscale, l’altra di fronte ad una complicata cessione del club attualmente ultimo in classifica e con problemi di liquidità. Certo, cose non prevedibili al momento del ritorno della Pallacanestro Trieste e dell’Auxilium in A (peraltro tutte e due con società che non c’entrano nulla con quelle del passato) che, come club, hanno degnissimamente svolto il loro compito di riaccendere la passione per il basket in piazze storiche. La passione per la Fortitudo, però, non si è mai spenta. Quello che voglio dire, è che è meglio andare oltre le etichettee guardare alla sostanza delle cose. C’è storia e storia. Saremmo tutti contenti di ritrovare Treviso in serie A ma perché, come la Fortitudo, grazie a Paolo Vazzoler, s’è data una governance moderna e, fin dalla ripartenza delle serie minori, ha avuto tanta gente, più che negli ultimi anni di Benetton al vertice, che le è stata vicino riappropriandosi di un club e dando un senso alla nuova vita. Ci sono altre piazze storiche che, tornassero in A, sarebbero affette degli stessi sintomi che ne avevano decretato la discesa, la sparizione, il fallimento. Sarebbe una bella notizia, ma per quanto tempo? La Fortitudo, che ha visto recentemente due suoi ex proprietari in un tribunale come imputati, ha qualcosa in più delle altre. I suoi sostenitori, soprattutto la loro espressione più eclatante, la Fossa dei Leoni, è stata vicino alla squadra anche quando la squadra, in pratica, non c’era più. Ha dettato le regole d’ingaggio opponendosi anche contro chi la stava facendo rinascere con metodi considerati “impuri”, come aveva fatto la Virtus di Sabatini “fondendosi” con Castelmaggiore (e ringraziamo il cielo che l’ha fatto…).Alla fine, tra mille difficoltà, la squadra che è tornata in A rappresenta davvero la storia della Fortitudo. Che resta affascinante, controversa, geniale, curiosa. E che ha nel dna la sfida al “potere” cestistico rappresentato nei secoli dalla Virtus, anche se oggi le stanze dei bottoni, e dei soldi, sono altrove. Sarà, di nuovo, una gran bella partita da giocare. Non solo per Bologna.