Con 25 partite senza ko, il ct azzurro ha eguagliato il campione del mondo – Che aveva una squadra più forte e dei campioni di valore assoluto, da Pirlo a Buffon – Meglio non illudersi per Euro 2021: la Francia resta la favorita -
Nel Paese dell’ultima impressione, va di moda mettere l’uno accanto all’altro Roberto Mancini e Marcello Lippi. Li accomuna un dato; venticinque partite senza sconfitta alla guida della Nazionale. Ora, se è vero che i numeri non mentono mai, è altrettanto vero che debbano essere interpretati. E allora, la prima differenza tra le due serie è data dal livello degli avversari: Mancini, non per sua scelta, ha affrontato solo due rivali che figurano tra le prime quaranta del ranking mondiale stilato mese per mese dalla Fifa. Si tratta dell’Olanda e della Polonia. Lippi, per dirne una, se la vide con la Germania in amichevole, prima di umiliarla a domicilio nella semifinale mondiale del 2006. Va anche sottolineato cme, quindici anni fa, il calcio italiano se la passasse meglio di adesso: non solo nelle coppe le nostre squadra sapevano farsi rispettare, ma i campioni indiscussi non erano pochi, da Del Piero a Totti (peraltro recuperato dopo un terribile infortunio), per tacere di Pirlo, Buffon e Cannavaro, che furono anche dei trascinatori eccezionali. Nella nazionale di Mancini, nonostante l’aumento degli oriundi, il livello medio è chiaramente inferiore, il giocatore più forte in assoluto è Verratti, il centrocampo si regge sulla sua fantasia, sul magistero di Jorginho e sulla generosa applicazione di Barella. Pellegrini e Locatelli rappresentano preziose alternative.
Di solito, chi ragiona sui dati cercando di dar loro un valore storico viene accusato di passatismo, ovvero di coltivare la nostalgia del bel tempo che fu. Ma, come disse qualche anno fa un guru americano dell’informazione, il passatismo è un lusso che può permettersi solo chi non ha figli. Chi li ha, ha il dovere di guardare al futuro.
Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare. L’Italia ha dato il meglio di sé ai mondiali, molto raramente agli europei, vinti una sola volta – in circostanze forse irripetibili – la bellezza di cinquantatre anni fa. Era il 1968, la fase finale era riservata a quattro squadre. Siccome ci siamo sempre considerati tra i migliori d’Europa, se non i migliori, il nostro palcoscenico era il mondo, erano le sfide con la grandi nazionali sudamericane, il Brasile, l’Argenfina, l’Uruguay. Per il mondiale, i club e i calciatori erano disposti ad ogni sacrificio. Per l’europeo, molto meno.
Anche per questo, Mancini – che ha nozioni di storia e conosce il nostro pollaio, incline all’esaltazione – quando gli hanno sottolineato che aveva eguagliato il record di Lippi ha rinviato ogni discorso al dicembre del 2022, quando si giocherà in Qatar la finale del mondiale più assurdo di sempre, se non altro perché è stato programmato durante la stagione, nel pieno dell’inverno. “Spero di raggiungere Lippi in Qatar2. Punta ad un grande mondiale e confida nella crescita del gruppo, che ha buine carte in mano anche se concretizza poco.
Sta di fatto, che la macchina della propaganda spaccia gli azzurri per una sorta di invincibile armata. E’ una squadra giovane, piena di belle promesse, ma sarebbe il caso di non esagerare per aver spezzato le reni alla Lituania e all’attuale Bulgaria, peraltro già maltrattata dalla Svizzera a Sofia. L’Italia di Lippi aveva un’impronta italianista, con l’aggiunta di un pressing furioso che disarmava gli avversari meno dotati sul piano tecnico. L’Italia di Mancini è fondata sul possesso della palla. In pochi l’hanno aggredita, erano troppo modesti. Prima della lunga catena di risultati utili, alla vigilia di Russia 2018, quando Mancini si era appena insediato, gli azzurri furono battuti nettamente dalla Francia in amichevole a Nizza (3-1). Da allora, solo piccolo cabotaggio.
A poco più di due mesi dal calcio d’inizio di Euro2021, anche tenendo conto delle difficoltà di rinnovamento della Germania e in parte della Spagna, l’Italia va considerata – senza peccare di pessimismo (non avrebbe senso) – in un’ipotetica griglia di partenza tra il quarto e il quinto posto, preceduta dalla Francia, la favorita numero uno, dal Belgio, dal Portogallo e forse anche dalla giovanissima Spagna di Luis Enrique. La previsione si fonda su un fatto indiscutibile: i francesi, titolari di un talento enorme unito ad una fisicità non meno spaventosa, frequentano a pieno titolo le coppe europee. Mbappé e Kanté, Pogba e Varane sono sempre tra i protagonisti. Hanno esperienza e qualità. Certo, il loro gioco talvolta suscita i colpi di tosse degli esteti, è innegabile che Deschamps non sia un maestro di bel calcio, ma al dunque la squadra non tradisce mai, è relativamente giovane e mette nel mirino il Qatar, dove si presenterà da detentrice. I nostri ragazzi migliori – penso a Berardi e Locatelli – giocano, sia detto con tutto il rispetto, nel Sassuolo. Insomma, più si va in alto e più l’esperienza diventa un fattore.
Com’è naturale, l’Italia cercherà di andare oltre i propri limiti, nella speranza che gli attaccanti siano felicemente ispirati a giugno. Per arrivare lontano, e magari anche alla finale dell’11 luglio a Wembley, sarà decisiva la condizione di Belotti e Immobile, che il ct alterna e, a quanto si intuisce, non vede benissimo in coppia. Preferisce il quattro-tre-tre, con gli attaccanti esterni (Berardi e Chiesa, per esempio, oppure Bernardeschi e El Shaarawy) molto larghi e una sola punta fissa.
di Enzo D’Orsi
Foto tratta da fanpage.it