Lorenzo Simonelli si prepara ad affrontare le World Relays di staffetta con lo sguardo già rivolto alle Olimpiadi con l’obiettivo di regalare una nuova medaglia all’atletica italiana negli ostacoli
La spensieratezza dei ventuno anni è forse uno degli elementi trainanti del carattere di Lorenzo Simonelli. Accompagnato dalla voglia di spaccare il mondo che contraddistingue i coetanei, il portacolori dell’Esercito ha imparato ad affrontare gli ostacoli della vita con leggerezza, proprio come accade sui campi d’atletica dove è diventato uno dei capisaldi dei 60 e dei 110 metri.
Il tutto accompagnato da un pizzico di follia che non guasta mai nell’atletica leggera e che è rappresentato da quel cappello di paglia spuntato al termine della finale dei Mondiali Indoor dove il giovane romano ha centrato la medaglia d’argento. Un simbolo che richiama One Peace, la serie giapponese particolarmente amata dall’azzurro che alterna le corse alla lettura dei “manga” provenienti dal Sol Levante.
L’argento ai Mondiali Indoor è stata una sorpresa per molti. Si aspettava di poter arrivare così in alto?’
L’argento non me l’aspettavo. Sono andato lì con l’obiettivo di entrare in finale e poi sarei stato contento di qualsiasi risultato fosse arrivato. Basta che la gara in sé andasse bene, alla fine è andata benissimo e quindi sono stato molto soddisfatto nonché emozionato. Devo confessare che già durante il resto della stagione avevo capito come potessi giocarmi qualcosa di importante. Arrivare lì e farcela, è diverso.
Com’è nata quell’esultanza con il cappello di paglia?
Non è stata del tutto programmata, ma ci speravo tantissimo. Quando sono partito dall’Italia, ho preso il cappello e l’ho messo in valigia non sapendo cosa potesse capitare. Prima della finale l’ho ceduto al mio fisioterapista raccomandandogli di lanciarmelo se fosse successo quello che doveva succedere. Ciò è successo e quindi l’ho preso al volo.
A Glasgow si è dovuto arrendere a Grant Holloway che negli ultimi anni è stato praticamente imbattibile. Come ci si sente a occupare il podio insieme a lui?
E’ bello perché fino allo scorso anno lo vedevo in tv e pensavo “lui è forte, un giorno vorrei diventare come lui”. Piano piano ci sto arrivando.
C’è un modo per batterlo?
Il suo punto debole è sui 110 metri ostacoli dove sugli ultimi ostacoli a volte si inceppa un po’. Lì si può recuperare qualcosa e di conseguenza riuscire a batterlo. Ovviamente si tratta di uno dei miei obiettivi e in futuro spero di riuscirci.
Dopo una stagione al coperto così trionfante, cosa si aspetta dall’outdoor?
Non mi aspetto nulla di particolare. Voglio solo divertirmi, dare il massimo, e se poi ne viene fuori qualche medaglia o qualche record, sarò decisamente contento.
Come si è sentito quando è stato convocato per i Mondiali di staffetta?
Sicuramente è una bella soddisfazione perché la staffetta è un evento diverso dagli altri. E’ l’unica gara dell’atletica che si fa in squadra. Esser nel giro della 4×100 metri è qualcosa di magnifico e per questo motivo darò tutto me stesso per cercare di migliorarmi.
Ci sono possibilità di vederla nel quartetto anche a Parigi?
Io ci conto perché è uno degli obiettivi di questa stagione. La staffetta dovranno correrla i quattro più veloci e che verranno scelti dai tecnici. Mi renderò disponibile e dar il contributo per esserci. Poi si vedrà tutto al Mondiale e agli Europei.
Come si trova con gli altri compagni di squadra, in particolare i campioni olimpici Lorenzo Patta, Marcell Jacobs e Filippo Tortu?
E’ un gruppo molto unito. Siamo tutti amici e ci sosteniamo a vicenda, prendendoci anche in giro a volte e facendo degli scherzi. E’ questo il bello del gruppo e l’unità la si percepisce anche in queste piccolezze. La forza di questa staffetta è principalmente questo, che ognuno di noi crede nell’altro e che tutti siamo sempre a darci sostegno. Se uno non corre, non c’è rabbia o rancore, ma la felicità per gli altri e la prontezza di spronarli a fare meglio.
Com’è la vita in raduno visto che passa gran parte dell’anno fianco a fianco con i suoi compagni di Nazionale?
Il raduno serve perché si stacca un attimo da quella routine che si crea con gli allenamenti. Lì si trovano situazioni un po’ diverse, si fa gruppo e si crea quel feeling che durante la stagione non si può costruire visto che ci alleniamo tutti in luoghi diversi, chi a Roma, chi a Milano, chi in Sardegna. Il raduno serve quindi a unirci e renderci una squadra più forte e affiatata. Confrontandoti con altri atleti sul tuo livello, sei inoltre spronato a fare meglio.
Com’è nata la passione per l’atletica leggera e, in particolare, per gli ostacoli?
In realtà un po’ per caso. Quando ci eravamo appena trasferiti a Roma, mio padre aveva visto un annuncio nel quale si parlava dell’apertura dell’Esercito Sport e Giovani che è stata la mia prima società. Mi ha iscritto lì e a quel punto mi sono appassionato all’atletica. All’inizio facevo un po’ di tutto: velocità, salti, lanci, anche prove di mezzofondo. Piano piano mi sono avvicinato agli ostacoli e la prima gara li ho odiati. Mi sono presentato molto spavaldo, pensando che non sarebbe cambiato molto fra una gara di velocità e una di ostacoli visto che l’unica aggiunta era qualche salto da fare qua e là. Invece non è stato così, al primo ostacolo mi sono schiantato e sono arrivato ultimo. Mi sono detto ‘mai più ostacoli in vita mia’, invece sono diventato il secondo atleta al mondo.
Preferisce i 60 metri indoor o i 110 all’aperto?
Chiaramente i 60 sono una gara molto più esplosiva, mentre nei 110 c’è una piccola componente di resistenza, però non trovo così grande differenza trovandomi in entrambe molto bene. Chiaramente nel secondo caso bisogna stare maggiormente concentrati a livello mentale perché bisogna provare a rimanere sempre focalizzati sull’azione e non farsi distrarre da quanto ti circonda. Arrivando molto stanco da un punto di vista mentale, basta poco per sbagliare. Nei 60 anche se ci si distrae un pochino, riesci comunque a finire visto che la competizione è molto breve.
Come cambia approccio e preparazione fra le due distanze?
Sui 60 cerchiamo sempre di affrontare gli ostacoli il più velocemente possibile perché la prova è molto breve e, se non prendi subito velocità, è difficile entrare in gara al meglio. Nei 110 invece, servendo più tempo, lavoriamo maggiormente sulla seconda parte. Se la prima non viene perfetta, non è un problema, l’importante che la seconda venga molto più veloce. Alla fine ci si gioca tutto sugli ultimi tre ostacoli. Una buona partenza ovviamente contribuisce a uno svolgimento più lineare della gara, però se si è veloci nel finale, si può fare molto di più. Mantenere quei tre passi molto stretti sino alla fine non è semplice, anche perché quando inizi a esser un po’ più stanco, di conseguenza rischi di finire contro gli ostacoli.
Guardando al futuro, non ha timore delle nuove leve che provengono dalle giovanili?
Io sono dell’ottica che i record sono fatti per esser battuti. Se qualcuno riesce a migliorare i miei primati, significa che c’è qualcuno più forte di me con cui confrontarsi. Questo è un buon prospetto per l’atletica italiana anche perché significa che in futuro potrebbero arrivare nuovi record.
Nei prossimi anni potremmo vederlo stabilmente anche sui 100 metri?
Già questa stagione qualche 100 lo proverò a fare. Non so quando perché lo dovrò incastrare con la preparazione delle varie gare, però sicuramente lo farò.