“Sarà un Wimbledon bellissimo”. Parola di Roger Federer che, per la prima volta, da 6-7 anni, torna davvero favorito in uno Slam. E così dovrà convivere col fattore pressione che, sicuramente, era lievissimo, invece a gennaio quando rientrava da una forzata vacanza di sei mesi ed ha firmato a sorpresa lo Slam-record numero 18. Interrompendo un digiuno di cinque anni (dai Championships 2012) e tre finali amarissime perse contro Djokovic (due a Church Road e una agli Us Open).
Saranno i Championships numero 131, dal via del 1877 quando Spencer Gore si aggiudicò il derby britannico con William Marshall per 6-1 6-2 6-4, saranno il numero 50 era Open, dal mitico titolo del 1968, quando Rod Laver vinse il derby australiano con Tony Roche per 6-3 6-4 6-2, e saranno il torneo dello Slam numero 198, sempre Open.
Saranno i Championships che potranno scalzare Murray – campione uscente – dal numero 1 del mondo, per gli attacchi di Nadal, Wawrinka e Djokovic.
Saranno i Championships che potranno consentire a Roger Federer di staccare Sampras e Renshaw dal record di 7 titoli, ed issarsi a 8, più vicino, ma sempre lontanissimo, dal primato-Slam bell’amico-nemico Rafa Nadal, che ha appena messo il sigillo numero 10 al Roland Garros.
Saranno i Championships-trappola psicologica, soprattutto per i Fab Four, Federer, Nadal, Djokovic e Murray, perché l’assalto dei giovani è pressante, così come, soprattutto sull’infida erba, la minaccia dei grandi battitori, gli eroi di un giorno solo. Anche se quello che preoccupa di più i campioni-simbolo del decennio e l’età, gli acciacchi di tante battaglie, la paura di non essere più loro, la voglia di riscatto, l’orgoglio sgualcito, il ricatto degli esami che nel tennis non finiscono proprio mai.
Saranno i Championships più duri per Murray che, dopo gli ultimi sei mesi strepitosi del 2016, non è al meglio di fisico e motivazioni e non ha risultati di riferimento importanti, se non le semifinali del Roland Garros. Ma avrà sempre addosso la pressione di un’intera nazione. Saranno i Championships più difficili per Djokovic – che ad Eastbourne, con Andre Agassi al suo capezzale, ha rivinto un torneo dopo sei mesi digiuno – ma ha ancora le orecchie basse e la faccia di chi doveva assolutamente andare in vacanza ma è costretto a presentarsi al lavoro. Come uscirà da questa nuova partita col suo io? Saranno i Championships più delicati anche per Nadal, rilanciassimo, certo, dal Roland Garros, sulla scia della ancor più miracolosa finale di Melbourne, ma impegnato di nuovo alla ricerca di un nuovo limite di se stesso.
Saranno, soprattutto, i Championships del Magnifico, RogerExpress, Federer, il favorito dei bookmakers, cui il destino ha dato in sorte un buon tabellone, prospettandogli un buon quarto di finale contro il bombardiere Raonic, davanti al quale crollò di fisico – il famoso ginocchio – nelle semifinali di Wimbledon dell’anno scorso, decidendo proprio in quell’occasione che doveva fermarsi. Roger è nella parte bassa del tabellone e potrebbe incrociare Djokovic, eventualmente, in semifinale, e quindi ritrovare il solito Rafa soltanto in finale. Anche se la sensazione ci dice che non sarà così. Perché Nadal, pur protetto da buoni accoppiamenti ad inizio torneo, al di là del prevedibile scontro contro bum-bum Kachanov, non sembra pronto, subito, a Wimbledon, senza partite ufficiali. Pur essendosi dimostrato, di testa e di spirito, il più forte dei Fab Tour. E, a Parigi, di essere più offensivo che mai. Molto, per lui, come per Roger, dipenderà dalla rapidità con la quale supererà i primi ostacoli: perché risparmierà energie, perché riuscirà a tenere subito un ritmo alto e prolungato, perché acquisirà fiducia e darà un messaggio chiaro al gruppo. E si candiderà alla finale da sogno dopo la favolosa triade 2006-2008.
Vincenzo Martucci