Incredibile vero? La Milano del grande Giorgio Armani letteralmente spazzata via da Trento in semifinale. Lo abbiamo pensato tutti, perché spesso l’evidenza viene ignorata davanti ad analisi e pronostici fatti a tavolino. Sono mesi che l’Aquila Trento di Maurizio Buscaglia gioca meglio di Milano, lo ha detto anche la classifica del girone di ritorno, lo hanno confermato i playoff. Sono mesi, al contrario, che l’EA7, pur con tutti i milioni che ha speso, gioca una pallacanestro mediocre: s’è fatta travolgere in Eurolega da tutte le avversarie mostrando solo una strepitosa attitudine alle rimonte dal -25, false come banconote da 15 euro, e nel nostro campionato non è mai stata convincente dalla finale di coppa Italia vinta in poi che, se vogliamo ben vedere, fu conquistata con un canestro di Macvan nei quarti di finale contro Brindisi che Sky dimostrò essere a tempo scaduto. Forse, per l’Olimpia, sarebbe stato meglio che il segnale di pericolo fosse scattato allora invece di ritenere che la squadra, finite le partite ormai inutili come quelle di Eurolega e della seconda parte del campionato, avrebbe ripreso, come per incanto, a giocare una pallacanestro decente. Sbagliato. Poi la squadra ha cominciato a perdere i pezzi per strada, le facce dei giocatori sono diventate impresentabili come la loro condizione fisico-mentale. Sono arrivati infortuni importanti (l’ultimo Simon ma prima Dragic) e bocciature (Raduljica e Gentile) e alla fine la squadra con la quale Milano è scesa in campo contro Trento era davvero molto più forte degli avversari? Facciamo un gioco: siete un allenatore e dovete scegliere, tra i due quintetti scesi in campo in gara-5, il vostro quintetto: Cinciarini o Craft, Hickman o Shields, Sanders o Gomes, Pascolo o Sutton, Tarczewski o Hogue? Io ne prendo 4 di Trento, diciamo che, alla vigilia dei playoff, ne avrei presi comunque tre…
E adesso? Ovviamente, forse anche logicamente per il bacino d’utenza emozionale che la squadra di Milano coinvolge, si sta già parlando più della debacle dell’Armani (con il proprietario assente in gara-5) che dello splendido risultato di Trento che ha almeno il 50% di possibilità di vincere lo scudetto anche se meno profonda sia di Venezia che di Avellino. Quindi via ai processi, alle liste di proscrizione e alla ricerca dei nomi da confermare e quelli per la squadra del campionato che verrà. E’ successo talmente tante volte negli ultimi anni…
Se si pensa di risolvere tutto sul mercato o con un “esperto” in materia, cambiando ancora la squadra e l’allenatore, andrà male di nuovo. Non sono i giocatori in sé a non funzionare, l’EA7 resta una buona squadra. Il problema è un altro: il 90% di chi è arrivato a Milano in questi anni non ha espresso il potenziale mostrato prima o dopo in altre squadre, mentre spesso è accaduto il contrario (pensate a Melli, a Bourousis negli anni spagnoli, a Ragland vero mvp della stagione in corso). Secondo dato allarmante: quando Milano ha scovato giocatori con qualcosa di speciale, magari non li ha confermati per poche migliaia di euro (penso a Curtis Jerrells che aveva fatto vincere lo scudetto del 2014). Terzo: avete notato come il secondo anno degli allenatori di Milano è sempre peggiore rispetto al primo? E’ accaduto con Scariolo, Banchi e Repesa (anche Bucchi andò in calando, ma la situazione era oggettivamente differente). Quarto, ma è un parere personale: la squadra più forte vista nell’era Armani è stata quella dello scudetto del 2014 e fu smantellata di proposito per motivi anche non tecnici (via Langford che “faceva ombra” a Gentile, ad esempio). Cosa che poi è accaduta con Hackett e, legge del contrappasso, proprio con Gentile. Significa che c’è un malfunzionamento nei meccanismi di comunicazione societaria che inghiottisce tutto in un gorgo che non permette nessun tipo di programmazione, perché più si va avanti, peggio va. Quindi o si sistema prima la catena decisionale o Milano vincerà sempre meno rispetto a quanto è lecito aspettarsi dai suoi investimenti.
Personalmente continuo a pensare che per svoltare davvero l’Olimpia dovrebbe fare una sola cosa: ingaggiare un manager che abbia totale e assoluta autonomia nelle questioni tecniche, che possegga gli strumenti tecnici, cioè una conoscenza approfondita del gioco del basket, dei giocatori, di come si costruiscano squadre vincenti, per valutare l’operato dell’allenatore e dei giocatori a 360 gradi, diventando lo snodo tra gli interessi della società, prioritari, e le necessità tecniche per soddisfarli. Lo dico da anni e questo mi ha procurato una grande stima, considerazione e simpatia dai parte dei vertici del club… Oggi lo ha scritto chiaramente anche Massimo Oriani sulla Gazzetta dello Sport, indicando giustamente un profilo professionale alla Maurizio Gherardini: purtroppo per Milano, che non lo prese in considerazione a tempo debito, il miglior manager italiano ha appena vinto l’Eurolega col Fenerbahce e se lo tengono stretto… Ce ne sono pochissimi sul mercato europeo, ma è lì dove io spenderei i soldi perché è evidente come Milano non abbia saputo finora analizzare e valutare correttamente i motivi di un successo o di un insuccesso al di la del fatto che spendendo almeno quattro volte più degli avversari, prima o poi qualcosa in Italia lo si porta a casa. Che l’Olimpia non sia al riparo da stagioni negative considerando che chi decide i suoi destini lavora solo part-time (Proli è uno dei top manager dell’economia italiana) e senza conoscenze specifiche nello sport, è evidente da tempo. Soprattutto perché non delega le questioni tecniche a chi in società ricopre questo incarico, Flavio Portaluppi, che non ha autonomia decisionale (ad esempio, non è un segreto che Portaluppi due anni fa avesse di fatto ingaggiato Andrea Trinchieri mentre Proli metteva sotto contratto Jasmin Repesa).
La mancanza di un manager “tecnico” autonomo non è un problema solo di Milano. E’ una opinione che mi ero permesso di esprimere anche nei confronti della Nazionale al termine dell’Europeo 2015 che si concluse con la mancata qualificazione olimpica, poi confermata a Torino. Ora, penso che nessuno possa ritenere che Petrucci non sia stato in questi anni un grande presidente federale, considerato come va il mondo dello sport italiano. Idem Livio Proli, vista l’eccellenza raggiunta dal suo club in tutti i campi e il successo clamoroso sul fronte del pubblico, la cosa più significativa accaduta nel basket italiano degli ultimi anni. Ma non significa che Petrucci o Proli siano in grado di valutare un allenatore o un giocatore, di capirne l’atteggiamento, le potenzialità inespresse, le ragioni di un rendimento. Il cattivo rapporto personale tra Petrucci e Pianigiani, la valutazione spesso opposta di quello che è accaduto è stata la chiave degli insuccessi azzurri degli ultimi anni, anche al Preolimpico dove è arrivato all’ultimo momento Ettore Messina. Come ai tempi di Cesare Rubini, l’Italia avrebbe bisogno di un Jerry Colangelo, di un Dejan Bodiroga, di un Jorge Garbajosa, per parlare di chi ha gestito le nazionali di Stati Uniti, Serbia e Spagna nelle ultime stagioni. Soprattutto per togliere responsabilità eccessive e grane da risolvere all’allenatore e riportare al presidente un’analisi tecnica corretta di quello che è accaduto in campo (e fuori), cosa che non può fare il tecnico, che rema dalla sua parte, o il presidente stesso, anche se come Petrucci da molti anni non scambia più gli apparecchi dei 24” per stufette.
Lo stesso vale per Milano. Dopo la Waterloo con Trento, Proli si è assunto la responsabilità della sconfitta cosa che, non andando lui in campo o in panchina, è una presa di posizione che gli fa onore ma resterà senza conseguenze se non avrà la forza di delegare le “basketball operation” a chi ha vissuto di basket professionalmente, al massimo livello europeo, da anni. Da qui non si scappa: non serve avere già in mano da tempo il contratto di Amath M’Baye, rivelazione del campionato con Brindisi, se poi l’ala francese a Milano non riuscirà ad esprimere il suo potenziale come è accaduto a quasi tutti i colleghi che lo hanno preceduto. Non ha senso la caccia all’untore se poi la squadra, tutta, nell’ultima occasione per rimettere in piedi la serie, davanti al proprio pubblico, invece di dare il meglio che ha, subisce 102 punti subendo 8 schiacciate e andrebbe cacciata via al completo a calci. E credo che sia inutile cambiare allenatore se non cambieranno i meccanismi di gestione tecnica di tutto l’ambiente. Poi, tanto per parlare, io confermerei quasi tutti, gli italiani, Simon, McLean. Non sono i nomi il problema, ma come giocano a Milano. La chiave è capire se Rakim Sanders stesse male o ha scioperato nei playoff. Cambierei di sicuro solo il “backcourt”, via Hickman e Kalnietis, e punterei tutto su un top player in quel ruolo ricostruendogli la squadra addosso. L’allenatore? Repesa ha fatto il suo tempo all’Olimpia. Poi, chiaramente, non si fosse infortunato Simon (e prima ancora Dragic), non fosse scoppiato il “caso Gentile” (che ha lasciato anche l’Hapoel Gerusalemme dopo 8 partite), non si fosse rinunciato follemente a Miroslav Raduljca ben prima dell’ultimo infortunio, Milano non avrebbe fatto la sua frittata più clamorosa e del problema del manager nessuno parlerebbe. Forse. Perché poi a basket bisogna giocare, non sempre basta fare a spallate con 13 giocatori a disposizione aspettando che l’avversario crolli. Trento ha giocato mille volte meglio perché nelle questioni tecniche è superiore a Milano ed è in finale perché l’ha dominata nell’unico posto dove la verità viene a galla: il campo.
Milano, che disastro! Cambiare tutto? No, basta un manager
La clamorosa eliminazione dell'EA7 da parte di Trento è arrivata per il solito, vecchio problema: i giocatori all'Olimpia rendono meno che altrove. Non basta cambiarli o ingaggiare l'ennesimo nuovo allenatore, è necessario dare in mano le questioni tecniche ad un professionista ad alto livello che decida autonomamente. E' la stessa mancanza che ha affossato la Nazionale italiana negli ultimi anni