Non è certo un buon inizio di stagione per l’atletica azzurra. Sino a questo punto forse l’unica vera fiammata sono stati i 200 metri corsi da Filippo Tortu al Golden Gala di Roma a inizio giugno, per il resto nebbia. Una spirale negativa che rischia anche di variare le percezioni. Ormai c’è chi si gasa per un 8.05 sporadico nel lungo e questo non fa bene all’atletica nostrana, l’aiuta ad adagiarsi. L’avevano già dimostrato gli Europei indoor a inizio marzo, dove siamo andati con tre saltatori annunciati in grado di spaccare la pedana del lungo e ci siamo trovati con un solo atleta in finale che oltretutto ha recitato la parte di comparsa. L’errore si sta ripetendo anche per la stagione all’aperto.
La realtà è che stiamo perdendo credibilità internazionale come hanno dimostrato gli Europei a squadre dove, in un ambito di modesto valore tecnico, non siamo riusciti ad andare oltre ad un triste settimo posto. Guardiamo il dito e non il cielo, ci accontentiamo di quanto succede fra le mura di casa senza parametrarci al mondo. L’esempio? La caccia ai minimi mondiali. Speculiamo sul centesimo e il centimetro confidando anche sui ripescaggi per completare la quota minima di atleti partecipanti, dimenticando cosa significhi davvero partecipare ad una rassegna iridata.
Non è un risultato singolo ma il livello medio di prestazione che conta. E’ solo deprimente partecipare ad una manifestazione di questo valore per uscire al primo turno o non raggiungere la qualificazione in un concorso. Significa che non si è a quel livello. Va bene, i giovani devono fare esperienza, ma che esperienza è prendere una legnata e tornare a casa subito?
Le punte vere sono poche. Ci siamo attaccati al 41enne triplista Fabrizio Donato che però si è infortunato giocandosi la stagione, il giovane Tortu ha giustamente come obiettivo stagionale gli Europei juniores, in assenza di Federica Del Buono (che non sappiamo neppure se riuscirà a tornare ad alti livelli), l’unica potenzialmente in grado di rappresentarci decentemente nel mezzofondo, ci rimangono i saltatori in alto.
Fassinotti si è di nuovo infortunato (speriamo nulla di grave), ma i più attesi erano Gianmarco Tamberi ed Alessia Trost. Non è stato bello vedere il marchigiano non riuscire neppure superare in Diamond League a Parigi i 2.20 della misura di entrata, la friulana, nel mezzo di un complesso guado tecnico fatica a valicare 1.90. E pensare che la sua avversaria giovanile, la russa Kuchina, ora è in cima al mondo…
Che errori ci sono stati nella sua maturazione? La sensazione è che abbia sempre gareggiato troppo poco. Così una gara diventa sempre eccessivamente importante e non si va mai in pedana semplicemente per divertirsi e scaricare il tran-tran degli allenamenti. La Trost pare vivere in un mondo tutto suo, fatto di sensazioni più che di realtà. Ha deciso di cambiare tecnico affidandosi ad Ancona al papà di Gianmarco, ma ora il clima in questo gruppo di lavoro rischia di diventare pesante.
Altro discorso per Tamberi. Nel luglio 2016 a Montecarlo, pochi minuti dopo aver portato il primato italiano a 2.39, ha subito un infortunio gravissimo per un saltatore, la lesione del legamento deltoideo della caviglia sinistra, quella di stacco, dove si concentrano tutte le forze al momento di lasciare il terreno. Per questo ha subito due interventi chirurgici. E’ comprensibile la sua ansia di rientro, ma forse per lui è ancora troppo presto. Papà Marco dice che il clima agonistico che prima lo esaltava ora lo spaventa, forse Gianmarco a livello inconscio si rende conto di non essere ancora pronto. La cosa peggiore sarebbe una ricaduta nell’infortunio che potrebbe anche troncarne la carriera, meglio non rischiare.
Insomma, in un caso e nell’altro ci vuole pazienza, pazienza e serenità da tutte le parti. Tamberi e Trost sono gioielli veri, al momento non ne abbiamo altri. Non cade il mondo se vivranno i Mondiali di Londra davanti alla televisione, hanno davanti una carriera intera, quella vera.
Pierangelo Molinaro