Da Nadal a Nagal, nel tennis come nella vita una sillaba cambia tutto, ma proprio tutto. Però, nel suo piccolo, anche Sumit, 23enne numero 124 della classifica mondiale sta scrivendo la storia degli Us Open e del suo paese, l’India, esattamente come il formidabile mancino di Maiorca, campione uscente allo Slam di New York. Allora il ragazzo dal gran dritto aveva i capelli neri naturali e strappava clamorosamente il primo set a Roger Federer (prima di perdere in quattro), oggi li ha biondo platino e, correndo per tutto il, campo come un indemoniato, ha battuto l’americano Bradley Klahn riportando un indiano al secondo turno degli Us Open dal 2103, sette anni dopo Somdev Devvarman. “E’ stato un momento speciale e un match che non dimenticherò mai”, ha commentato Nagal subito dopo su Twitter, ringraziando il team.
“Quell’anno, nel 2013, io mi qualificavo a New York per il torneo junior, poi ho giocato nel tabellone dei grandi, ora ho vinto un match. Non è stato facile sapendo che ero il favorito, ero nervoso all’idea di sfatare il tabù Slam, ma ho cercato di fare le cose da fare e stare ordinato e tranquillo. Questo è il mio torneo preferito”, ha aggiunto Nagal che conosce benissimo la storia del tennis indiano, e quindi i fallimenti nei Majors dei precedessori Ramkumar Ramanathan, Prajnesh Gunneswaran e quindi Bhambri che, fra il 2015 e il 2018 ha partecipato a quattro Slam senza però superare un turno, per poi arrendersi ai tanti infortuni.
“In un certo senso, sono felice per questa vittoria così importante, ma in un altro, pensando che potremmo fare molto meglio, noi indiani, mi sento triste. Abbiamo così tanti che amano e giocano il tennis, abbiamo grandi talenti ma nessun sistema”.
Lui è stato fortunato e sfrontato. Papà gli aveva infatti messo la racchetta da tennis in mano a 8 anni e, a 10, a un camp organizzato da Bhupathi, mitica spalla di Leander Paes in doppio, il piccolo Sumit ha chiesto apertamente al campione: “Signor Bhupathi, potrebbe per favore guardare il mio gioco?”. Guadagnandosi, anche per la personalità, una delle tre borse di studio in palio nell’accademia privata dell’ex numero 1 del mondo di doppio, specialità nella quale ha vinto 52 titoli, di cui 4 Majors. “Sapevo chi fosse, così gli ho afferrato la mano e gli ho chiesto di seguirmi un po’ con attenzione. Questo slancio di coraggio ha cambiato la mia vita. Se non avessi richiamato la sua attenzione non sarei arrivato al professionismo. Anzi, non avrei potuto giocare a tennis. Ne sono sicuro al 100 per cento”.
Le motivazioni di Sumit sono forti: “Io gioco per la mia famiglia, senza radici tennistiche, al massimo un po’ di cricket. Il tennis è stato solo molto, molto, casuale. Quando ho vinto Wimbledon junior – in doppio – ricordo ancora le lacrime negli occhi dei miei genitori. Gioco per loro e per il mio paese. Sono molto orgoglioso di giocare per l’India. Il mio obiettivo nel tennis è fare davvero bene e far dire alla gente che l’India non è brava solo nel cricket. Abbiamo avuto una grandissima tradizione con Vijay Amtritraj, Leander Paes e Bhupahi, ma è passato del tempo, è ora di rinverdila”.
Davanti a lui si staglia ora la minacciosa figura di Dominic Thiem, numero 2 del tabellone e 3 del mondo. “Sono pronto ed eccitato per affrontarlo”, minaccia fiero il gran lottatore indiano. “Sarà interessante vedere a che livello è il mio tennis contro un giocatore tanto forte ed accreditato”. E poi si scatena su Twitter per raccontare la bolla del coronavirus, la sua vita lontano dalle mille luci di New York (“E’ anormale, è la mia città preferita”), i controlli e il sogno Us Open.