Ci sono i muscoli, ci sono le trottoline una sola dimensione, ci sono le maratonete che ribattono qualsiasi palla per prenderti per stanchezza, e poi c’è lei: Carolina Muchova. Che, col suo tennis completo e preciso, con le mille varianti, con lo slice d’attacco perfetto e le volée ricorda Hana Mandlikova. Peccato che, proprio come la magica pioniera della scuola ceca, la 27enne cresciuta nel culto di Roger Federer, sia discontinua, insicura, paurosa, deboluccia di nervi quando il gioco si fa duro. Peccato davvero perché il tennis ha bisogno del suo braccio da affiancare alla fisicità di Gauff e Swiatek, e alla potenza di Rybakina e Sabalenka, per garantire il massimo dell’offerta nel suo book di presentazione. Anche se forse, e ripetiamo forse, con gli anni e con gli ultimi successi – segnatamente quelli consecutivi contro la numero 2 del mondo Sabalenka -, che l’hanno finalmente promossa fra le top 10, la ragazza dal braccio d’oro sta facendo sempre più risultati a livello sempre più alto. E, agli US Open, ha vinto tre partite su tre senza cedere set ed energie preziose.
TERRA/CEMENTO
Finale sul rosso di Parigi, battuta solo dalla numero 1 Iga Swiatek e solo dopo aver rimontato dopo un set e mezzo ed essere crollata sul 4-3 e servizio del terzo set, suicidandosi col doppio fallo finale. Finale sul cemento di Cincinnati, battuta solo dalla giocatrice più calda, Coco Gauff. Con queste credenziali e questa spinta emotiva, Muchova ha volato a New York contro Hunter e Frech e poi ha sofferto fino al tie-break del primo set contro l’effervescenza offensiva della rediviva Taylor Townsend, per poi sorprenderla passando lei stessa all’attacco. “E’ una delle ragazze con cui chiacchiero di più negli spogliatoi, abbiamo anche un gioco simile, ora sta tirando fuori il fuoco, spero che continui così, con quel suo gioco di assalti veloci a rete che toglie il ritmo ai tanti abituati a giocare molto più spesso gli scambi da fondo”. Per la ceca è stato un successo non facile, contro una beniamina di casa lanciata dal colpaccio contro Haddad Maia, e ora Karolina si propone ancor più da favorita al possibile confronto con Anna Carolina Schmiedlova degli ottavi, per sfatare il tabù dei 4 match nella Grande Mela. Un altro test per la sua scarsa capacità di controllare le emozioni: “Comunque, preferisco gli Slam perché c’è un giorno di riposo fra un match e l’altro, posso ricaricarmi di fisico ed equilibrarmi bene in tutto grazie al mio team, col quale mi rilasso e penso anche ad altro”, dice distaccata. Ma poi proprio non riesce ad evitare un’ammissione importante: “Questo è il tennis, lo so e sono allenata anche a questo, ma sono in America da un po’ e mi manca casa”. Mea culpa: “All’inizio dello scambio del match sono un po’ lenta, per me è fondamentale trovare il ritmo giusto di velocità di braccia e gambe insieme. Contro Taylor sapevo ch cosa aspettarmi e ho trovato subito il ritmo d fondo, così non mi sono buttata tanto avanti nella prima parte del match, perché non ne avevo bisogno”.
FORMA
I risultati danno fiducia, questa Muchova è ben diversa da quella che negli ultimi due anni ha sempre perso al primo turno a New York: “Ho sempre creduto in me, ma con le vittorie questo sentimento è più forte. Poi però bisogna sempre ricominciare daccapo, partita dietro partita. Ala Roland Garros ho imparato a essere sempre più concentrata su me stessa e meno distratta da quello che mi gira attorno. Ho imparato che, se gioco bene, posso tornare nell’élite del tennis. Come da Miami in qua. In otto mesi, dall’1 gennaio, che ho cominciato la stagione, sono passata dal 151 del mondo al 10: è una gran bella soddisfazione che premia la mia passione per il tennis, a dispetto degli infortuni. Papà, ex calciatore professionista, mi ha messo la racchetta
in mano, ma fino ai 12 anni insieme a mio fratello ho giocato tanti sport diversi nel campetto a 50 metri da casa, poi ho scelto il tennis e non ho più avuto un piano B, ho sempre pensato e voluto diventare una tennista e basta”.
RITORNO AL FUTURO
Proprio agli US Open, nel 2018, Muchova debuttò negli Slam da over 200 del mondo e, dopo le qualificazioni, superò anche Muguruza e Yastremska per cedere al terzo turno alla futura numero 1, Barty: “Fu la prima, grande, conferma di cui avevo bisogno, dentro di me sentivo, sapevo, di avere le capacità, ma a New York lo dimostrai per la prima volta a livello più alto. E, trasferendomi a Praga, feci un cambiamento logistico importante, perché lì c’è tutto, a cominciare dall’aeroporto”. Sembrava dovesse esplodere coi quarti di Wimbledon 2019, da debuttante ai Championships, sembrava dovesse riemergere perentoriamente con le semifinali agli Australian Open 2021, sembrava tante volte che la sua stella dovesse splendere con continuità, e invece ogni volta Karolina, che anche nella crescita ha avuto tanti problema agli arti perché mingherlina, è sempre tornata ai box per infortunio. “Quando mi feci male con Anisimova a Parigi dell’anno scorso qualche medico mi disse pure che non avrei più giocato a tennis. Motivandomi ancor di più a tornare in campo proprio per smentirlo”.
Il tennis ha bisogno che questa volta insista al vertice perché con lei c’è sempre spettacolo.
(Testo e foto tratti da Supertennis.tv)