Domattina, alle 11:45 (diretta TV su Rai Due), l’Italrugbyscende in campo a Shizuoka, tra piantagioni di tè verde e sotto lo sguardo austero del Monte Fuji. Saranno le 18,45 in Giappone, ma non ci sarà tempo per il tramonto su quei panorami magnifici sebbene poco conosciuti in Occidente. Affrontiamo il Sudafrica nel match più importante degli ultimi quattro anni, quello che ci può aprire le porte di un traguardo mai raggiunto, i quarti di finale della Coppa del Mondo. Non li abbiamo centrati nel 2007 con l’Italia forse più forte di sempre, quella di Troncon, Parisse, Perugini, Ongaro, che vinse 2 match di fila al Sei Nazioni di pochi mesi prima. Possiamo sperare realisticamente di farcela stavolta, dopo quattro 6 Nazioni senza una vittoria che fosse una?
Federico Falcone su r1823.it traccia un interessante parallelo tra il Giappone che ha compiuto l’impresa contro l’Irlanda (n.1 del ranking mondiale all’inizio del torneo) e l’Italia che deve farla col Sudafrica. Gli azzurri potrebbero emulare i nipponici? Nel rugby le sorprese sono rare, le imprese uniche o quasi. La squadra sulla carta nettamente superiore vince pressoché sempre. Lo stesso sistema del punteggio premia la squadra che esercita il dominio territoriale: chi schiaccia l’avversario può non centrare la meta, ma la pressione costante costringe la difesa a concedere falli che comportano calci di punizione da 3 punti. Il Giappone è però riuscito nell’impresa già agli scorsi mondiali, proprio contro il nostro avversario, il Sudafrica. L’autore di r1823.it** sottolinea come i due volte campioni del mondo, dopo la scoppola nipponica del 2015 sanno che contro squadre inferiori non basta limitarsi al compitino. Aggiungiamo noi: questa consapevolezza può costituire una possibile pressione per gli Springboks? Beh, se la partita si mette in un certo modo… No, il Sudafrica è il Sudafrica, la lezione è stata assimilata, inutile illudersi. Eppure il Giappone con l’Irlanda è riuscito a mascherare il gap tecnico e tattico contro la squadra n.2 del ranking. Facendo valere i principi fondanti del rugby: unità di squadra, tenacia, strenua volontà di andare oltre i propri limiti. La motivazione feroce di dimostrare al pubblico e alla stampa che ci siamo sbagliati, che questa squadra non è rassegnata a perdere. Basterà per superare una delle favorite a sollevare la Web Ellis Cup? No, il cuore e l’orgoglio fanno molto, ma gli altri sono superiori in tutto: fisicamente, tecnicamente, nell’organizzazione del gioco.
Allora a cosa possiamo appellarci? Al miracolo che arriva dal cielo? Alla sconfitta onorevole, e di grazia se arriva? Il realismo ci suggerisce l’ultima opzione, ma guai a rassegnarsi all’evidenza. Quattro anni fa arrivammo alla sfida per i quarti del Mondiale in condizioni peggiori di oggi. Prima della sfida all’Irlanda, tutti si aspettavano non una passeggiata ma certamente una vittoria netta contro il Canada. Vincemmo per il rotto della cuffia, giocando in modo orribile. Il mattino della sfida a Sexton e compagni, nella tube di Londra che ci portava all’Olympic Stadium, tra amici si scommise sul punteggio del match. L’amore per la bandiera era l’unico, debole argine al pessimismo dilagante. Chi vedeva 60 punti in più per l’Irlanda, chi 20 (“sarebbe come una vittoria…“). Uno solo dava gli azzurri vincenti: lo guardammo come si guarda un irriducibile ottimista fuori dalla realtà. Eppure, il nostro Erasmo da Rotterdam vinse la scommessa e la pinta di birra. L’Italia non superò l’Irlanda, ma pur sempre inseguendo il risultato fu in bilico fino alla fine. Quando sbirciando il cellulare dell’attempato tifoso irlandese seduto davanti a noi leggemmo un whatsapp a un amico (“Sì, l’Italia sta giocando molto bene, purtroppo”), l’orgoglio aveva già scacciato il nostro pessimismo iniziale. Quando poi, nell’ultima parte di gara Joshua Furno sgusciò via tra la fitta rete dei verdi, in piena area dei 22 avversari, le palpitazioni cardiache sugli spalti tornarono quelle degli anni belli, del ‘97 e del 2007. Venne placcato a un metro dalla linea di meta, a un metro dai quarti di finale. Guai rassegnarsi all’evidenza, domattina seguiamo gli azzurri a Shizuoka, senza troppe illusioni, ma nemmeno senza speranze. Il Sudafrica è il Sudafrica, il rugby lascia poche speranze agli sfavoriti, ma in Italia passiamo in fretta dal pessimismo all’esaltazione.
* foto presa da Yahoo.news
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