Vincere una gara di sci è molto più difficile di una partita di calcio. Sei solo contro almeno sessanta avversari inferociti e non esiste il gol di calzettone che ti fa vincere anche quando non lo meriti. Sulla neve a fare la differenza sono solo centesimi di secondo, ma le gerarchie sono tutt’altro che casuali. DominikParis ha dimostrato di essere il più forte velocista del momento. L’Italia non ha mai potuto contare su un discesista di questo livello. Forse ai suoi tempi dominava Zeno Colò, ma dalla nascita della Coppa del Mondo (fine anni Sessanta) non c’è mai stato un azzurro indiscutibilmente al vertice.
Sì, abbiamo avuto ottimi velocisti, ma mai il numero uno. Erano bravi negli anni Settanta Anzi, Varallo e Besson, poi nell’Ottanta arrivo Plank. Tutti competitivi per i primi posti ma non per il vertice. Negli anni Novanta avevamo un gruppo fortissimo: Runggaldier, Perathoner, Vitalini, Ghedina, Fattori. Ottimi, ma tutti erano competitivi in una certa situazione, non in tutte. Ghedina ad esempio. Grandissimo scivolatore, straordinario quando si trattava di volare nei salti (vedi spaccata del 2004 a Kitzbuhel…), ma quando il ghiaccio richiedeva potenza spariva, perché aveva i cavalli di un pony contro i purosangue. Essere il numero uno significa chiamarsi Klammer, Russi, Cuche, Svindal.
Anche Dominik Paris non è nato completo. Apparve sulla grande scena all’Olimpiade 2010 a Vancouver quando disputò una grande discesa della combinata. Si fece notare per la sua potenza animalesca, ma anche una tecnica approssimativa che lo mandava in crisi in certe situazioni. E’ cresciuto anno dopo anno, attraversando diversi momenti difficili. Ha costruito mattone su mattone una competitività che al momento non ha eguali. L’hanno aiutato a crescere, oltre agli allenatori Ghidoni e Plancker, Fill e Innerhofer. Sciare in allenamento con due così è uno stimolo quotidiano. Due esteti della tecnica, anche differenti fra loro, che l’hanno legnato nelle prove cronometrate dando a Domme un grande esempio di professionalità. Fill non è un fenomeno ma ha vinto due coppette consecutive della discesa da formichina. Innerhofer è forse il più bello da vedere in velocità, ma non ha i cavalli di Paris e la sua particolare tecnica gli permette di esprimersi al meglio solo sul ghiaccio vivo.
Anche Dominik, come da tradizione tutta italiana, si faceva valere solo sul ghiaccio, ma questa stagione ha dimostrato di essere diventato “all-around” dimostrandosi davvero il numero uno. Messi a punto sci e scarponi con l’aiuto del fido skiman Sepp ha vinto discesa e superG a fine 2018 a Bormio, sulla pista e sul ghiaccio più difficili del circuito, ha dominato per la terza volta la discesa di Kitzbuehel e a Kvitfjell ha dimostrato di essere il più forte. Discesa e superG su una pista diventata facile con gli attuali materiali in due giorni con condizione di neve opposte. Ma è il più forte e lo sa. Ha avversari fortissimi, come gli elvetici Feuz e Caviezel, i francesi Theux e Clarey, i norvegesi Jansrud e Kilde, ma li doma. Anche quella dei Mondiali di Are non era sulla carta la sua pista, ma Paris ha vinto il titolo del superG, fallendo quello della discesa solo in una gara che non doveva essere disputata per il maltempo, ridotta a poco più di un minuto e ben a di là delle condizioni minime di sicurezza. Cosa significa essere il numero uno? Che per tutti prima del via sei l’uomo da battere, che per gli altri c’è spazio solo se tu sbagli qualcosa.
Non mano vale l’impresa di Gianmarco Tamberi agli Europei indoor di Glasgow. Certo, quello continentale è un ambito più ristretto rispetto a quello mondiale di Paris, e neppure il 2.32 che ha superato nel salto in alto, misura che non garantisce nulla a livello mondiale e olimpico. Ma è la valenza umana che conta.
Il marchigiano nel 2016 stava davvero toccando il cielo con un dito in una magica sera a Montecarlo, 20 giorni prima dei Giochi di Rio. Portò il record italiano a 2.39, misura che a Rio avrebbe potuto anche significare l’oro, ma su quella pedana si ruppe la caviglia sinistra, quella del piede di stacco che lo lancia verso il cielo. Difficile per un saltatore recuperare da un infortunio di quella portata. Si rischia di perdere quell’esplosività nell’azione che è il primo propellente per salire in alto.
Ha vissuto due stagioni difficilissime, con misure umilianti per il suo valore, altri problemi fisici. Ma quest’anno sembra davvero recuperato ed è tornato nel club dei 2.30. Merito suo e del padre allenatore Marco. Forse ad un certo punto credevano solo loro di poter tornare al vertice e l’hanno fatto. Tamberi è un grande agonista ed il confronto è quanto gli serve per salire ancora. Ha davanti 5 mesi prima dei Mondiali di Doha per toccare quel 2.40 che ha sempre sognato e che probabilmente è tornato nelle sue possibilità.