Il calcio, e non lo scopriamo ora, è lo specchio del Paese. Nel bene e nel male. Ad esempio ha un governo litigioso e contraddittorio, che naviga a vista, tra veti incrociati e accordi friabili, frutto di bizantinismi che reggono raramente alla prova dei fatti. Lo ha dimostrato in questi giorni “influenzati” dal Coronaviurs che sta annientando la vita economica e sociale e pure quella sportiva. Però almeno lo Stato, inteso come insieme dei cittadini impegnati in prima linea, insomma di quella parte di settore pubblico che ha affrontato l’emergenza, infermieri, medici, ricercatori, forze dell’ordine, volontari, ha dato il meglio di sé.
Negli ospedali, per le strade, nell’aiuto e nel sostegno alle persone malate o sbandate o paranoiche. E anche il calcio, quello che ne è rimasto, quello del popolo, non quello dei dirigenti, quello di coloro che vanno negli stadi, giocatori e tifosi, ha offerto in Lecce-Atalanta uno spettacolo bellissimo. Se n’è visto poco di calcio, ma quel poco è stato entusiasmante, per i gol segnati, per la solita gigantesca prova dell’Atalanta a quota 70 reti stagionali, alla quinta partita oltre i cinque palloni nella porta avversaria. Ma anche per il contorno. Alla fine, malgrado la batosta, i tifosi del Lecce hanno applaudito gli avversari e anche la loro squadra che sta provando a salvare la ghirba. C’è voluta questa domenica grottesca, con due partite giocate e tutte le altre rimandate per respirare un po’ di aria buona intorno al pallone e disintossicarci dalla montante marea nera di polemiche seguite alla decisione di rinviare tutte le gare “contaminate”.
Mentre il presidente della Lega Paolo Dal Pino e l’ad dell’Inter Beppe Marotta battibeccavano su Juventus-Inter senza tifosi, con i tifosi ma solo quelli bianconeri (o almeno senza quelli di Milano), su spostamenti chiesti e rifiutati, Lecce e Atalanta imbandivano uno spettacolo di gol, impegno, gioco e comportamenti positivi. Da ricordare.
In mezzo alle polemiche che si sviluppano attorno al calcio dimezzato o peggio, tra gli scambi di insulti e le solite divisioni, emerge un giudizio comune: la vicenda è stata gestita malissimo. Esattamente come quella principale, da cui è derivata quella sportiva, cioè l’epidemia di Coronavirus, dove si è passati, da un giorno all’altro, da una totale assenza del problema sui tavoli politici di ogni ordine e grado, dalla quasi totale assenza di informazione a un iper-attivismo dei governanti con bombardamento insensato di informazioni spesso fuorvianti. Da qui un ingiustificato panico di massa con conseguenze che andranno ben oltre l’effetto del virus sugli esseri umani.
Si doveva prendere una decisione subito e per tutti, si doveva programmare. Occorreva una soluzione ragionata che impedisse questo scempio. Ma la Lega calcio, un tempo autentico organismo decisionale, è stata svuotata di ogni significato. Presidente e amministratore delegato sono dipendenti con scarsa autonomia. La Lega calcio non ha una linea, tutto viene deciso da due o tre presidenti che riescono a far convergere il consenso. Non c’è, non ci può essere, la nettezza di una catena di una comando legittimata e autonoma. Fateci caso: fino a un decennio fa il presidente era un dirigente sportivo, uno dell’ambiente. Uno di sport, di calcio. Ora è un esterno, bravo e laureato cum laude, che deve gestire l’ordinario e soprattutto vendere al miglior prezzo i diritti tv. Il resto non conta. E si vede.
PUBBLICATO SULLA GAZZETTA DI PARMA I 2/3/2020
Piatto consigliato: un tiramisù gigante, what else, in giornate come queste?