Ci sono uomini e uomini. Ci sono quelli che scappano e quelli che lottano. Sergiy Stakhovsky, avrebbe potuto rimanere in vacanza a Dubai, a godersi i guadagni da tennista professionista che si è appena ritirato dal circuito ATP. Invece, a 36 anni, l’ex numero 31 del ranking, è ritornato a Kiev e, invece della racchetta, è pronto ad usare le armi per difendere la sua Ucraina. L’Equipe lo ha intervistato rimettendo a nudo uno dei personaggi più singolari e positivi dello sport.
Già il racconto del viaggio verso la capitale ucraina lascia intendere le enormi difficoltà di tutta quella zona, transitando per Budapest, dove ha lasciato la famiglia, quindi per Bratislava, dove amici e volontari gli hanno dato dei corpetti anti-proiettili, poi, sempre guidando la sua auto alle 11 di lunedì mattina è arrivato a Kiev e, dopo aver salutato il padre e il fratello – che sente continuamente al telefono -, si è messo a disposizione delle forze di resistenza. “Da una parte era una cosa che sentivo profondamente dentro di me, dall’altra ho una famiglia, una moglie e tre figli di cui devo prendermi cura e che devo proteggere. Non dico che ho preso la decisione giusta, spero di rivedere mia moglie e chiederle perdono: lei, i suoi genitori, tutti hanno cercato di dissuadermi, soltanto mio padre e mia madre non l’hanno fatto, perché sanno come mi hanno educato”.
LOTTARE PER IL PROPRIO PAESE – “Stakho” è sempre stato una voce libera ed autorevole fra i tennisti, e lo è anche nella vita. “Amo il mio paese, non è una cosa che si impara o ce l’hai o non ce l’hai, anche da atleta era così: giocare per il mio paese era più importante che giocare per me”. Così esorcizza la paura di morire combattendo con la filosofia: “Cerco di non pensarci, si può morire per tante ragioni, nessuno sa quando succederà, perciò perché pensare al peggio?”. Meglio pensare positivo: “Non penso che la Russia voglia che questo conflitto duri troppo a lungo. Perciò il mondo deve agire molto in fretta: finora ha fatto quello che doveva per mettere pressione sulla Russia e isolarla. Si fa il massimo perché percepiscano l’ampiezza delle atrocità che stanno per commettere. Il problema è che Putin non ama perdere e ora è con le spalle al muro: passa per un perdente. Ho paura delle truppe russe e della sua follia, della capacità di spingere sul bottone rosso o di uccidere tutto il mondo”.
VITTIME INNOCENTI – L’ex tennista sta toccando con mano gli effetti dei bombardamenti: “Avete visto il bombardamento di Kharkiv? Non aveva di certo l’aria di un sito militare… Hanno colpito in piena città, sulla piazza principale, c’erano solo civili. Qui a Kiev, quando hanno colpito la torre della televisione, sono morti cinque innocenti. E’ una follia che deve fermarsi. Ma l’Ucraina da sola non può farcela, ha bisogno del mondo. Ci sono già state troppe atrocità per la follia di un uomo solo”.
LA SOLIDARIETA’ DI DJOKOVIC – Anche la Stampa di Torino ha raccolto la testimonianza dell’ex tennista che nel 2013 batté Federer a Wimbledon: “Per sette anni nessuno ha fatto nulla, quando la Crimea fu annessa nessuno pensava che sarebbe potuto scoppiare una guerra, quindi la colpa è anche del mondo occidentale. Io sono pronto. Farò qualsiasi cosa sia necessaria per proteggere il mio paese ed impedire alla Russia di vincere. Se dovrò usare un’arma per difendermi lo farò. Prima di arrivare ero pessimista, invece il morale dei miei connazionali è alto e sono ispirato dalla loro voglia di resistere. Non ho esperienza militare, ma questo non mi frena”. Il suo pensiero è andato anche al tennis: “So che la WTA prenderà una posizione, l’ATP di solito è più soft. Comunque Medvedev e Rublev sono bravi ragazzi e si sono schierati contro la guerra, altri non lo hanno fatto. Ho ricevuto tanti messaggi anche da Djokovic, mentre Federer e Nadal hanno preferito il silenzio”.