La domanda giusta te la fa una bambina di sei anni. Tu le stai spiegando il Giro, le biciclette da strada e quelle da crono, le macchine che poi si chiamano ammiraglie, le radioline che quando serve chissà perché non le sente mai nessuno e radio-corsa che gracchia in francese e singhiozza in italiano. I meccanici che sono tuoi amici e se ti fermi a chiacchierare con loro capisci prima la corsa, i massaggiatori che sono gli unici a sapere che cosa passa nella testa dei corridori, i direttori sportivi che abbassano il finestrino e bastano due parole per capire cosa è successo. I campioni che hanno una grazia speciale che si chiama talento, ed è come a scuola, c’è quello bravo a disegnare e quello che sa tutte le poesie a memoria, quello che appena sente il titolo del tema comincia a scrivere con un sorriso e quello che ha l’aritmetica nel sangue e segue un ritmo tutto suo. E i gregari che si riempiono le tasche e la maglia di barrette e di panini e di borracce, e prendono il vento in faccia per troppi chilometri e fanno la stessa strada dei capitani ma arrivano quando lo spumante è già sparso per terra e i coriandoli del podio sono volati via col vento. Hanno portato i capitani lì dove cominciava il punto più duro della salita e poi si sono fatti da parte con un colpo di magia, sono spariti in fondo alla corsa sapendo di aver fatto il loro dovere.
E se il Giro lo vincesse un gregario: come Pambianco, come Cunego o magari Sam Oomen?
Sempre più raramente la corsa rosa ha un epilogo romantico. Di più: nel 2016, Scarponi era in fuga verso il primo successo di tappa, ma si sacrificò per il suo capitano, Nibali…