Un bel casino, vero? Sono bastate due sconfitte in due partite di routine, visto che l’Italia era già prima nel girone e al secondo turno delle qualificazioni mondiali, una inaccettabile per il modo in cui è maturata contro la debole Olanda, per far finire bruscamente la luna di miele tra gli azzurri, i tifosi e il nuovo c.t. Meo Sacchetti. Da dove cominciamo? Dalle partite perse, soprattutto da quella contro l’Olanda che mette in discussione la nostra qualificazione al Mondiale che sembrava già fatta (si riprenderà a settembre, contro Polonia e Ungheria), dalla polemica tra il c.t. Sacchetti e Danilo Gallinari, dalle assenze dei giocatori più forti pur liberi da impegni coi loro club Nba o di Eurolega, dalle prestazioni e gli atteggiamenti visti in campo da parte di chi di questa nuova nazionale dovrebbe essere un leader, dalla contrapposizione strisciante tra Sacchetti e il plenipotenziario tecnico della federazione, Boscia Tanjevic, che non comunicano se non attraverso posizioni differenti sui giornali? Prendiamo l’aspetto positivo: secondo me, come avevo già avuto modo di scrivere sui Senators, se ci sono dei bubboni, meglio che scoppino. Le nostre ultime nazionali sono state affossate da una atmosfera falsa come quella della pubblicità del Mulino Bianco che ha privato l’Italia di un impegno totale e incondizionato nei momenti cruciali del suo più recente cammino. Però anche le crisi vanno gestite e non è possibile farlo insabbiando i problemi di fronte all’evidenza che convenga a tutti fare i bravi, come è nello stile del presidente Petrucci. Quindi che i problemi scoppino e che si prendano delle decisioni anche dolorose ma trasparenti: la storia dice che le squadre che vincono sono quelle che hanno sentimenti e compatibilità tecniche comuni, a prescindere dai nomi. Con le selezioni dei più forti si fanno gli All Star Game.
Il nuovo calendario internazionale, che fa giocare le Nazionali anche durante la stagione della Nba e dell’Eurolega privando le selezioni dei loro giocatori più quotati, ha reso ancora più complicato il lavoro del c.t. Fino all’anno scorso, tutti i giocatori d’estate erano liberi di giocare per la nazionale. Potevano ovviamente decidere di non farlo, ed era piuttosto chiaro che la scelta fosse del giocatore, anche se spesso ammantata da un permesso negatogli dal club Nba di appartenenza. Oggi, 8 gare di qualificazione su 12 devono essere disputate da atleti che non fanno la Nba o l’Eurolega (salvo alcune eccezioni, come quella di Milano lo scorso inverno che ha concesso alla Nazionale alcuni giocatori poco impegnati col club), quindi l’impossibilità di vestire la maglia azzurra almeno per Belinelli (che comunque aveva dato un mezzo addio alla Nazionale dopo l’ultimo Europeo), Gallinari, Datome, Melli, Hackett è reale. Il fatto che a parte Hackett nessuno si sia presentato in giugno per il doppio confronto con Croazia e Olanda secondo me è dovuto al fatto che abbiamo sottovalutato la situazione. Si dava per scontato che l’Olanda l’avremmo battuta anche senza i big e che non fosse il caso di forzare la mano con loro. L’indisponibilità improvvisa di Hackett e Della Valle (oltre a quelle di Gentile, Pascolo e Flaccadori) ha complicato tutto e non eravamo pronti. Con quella vittoria in più, e con lo scontro diretto favorevole con i croati, oggi saremmo al 90% al Mondiale assieme alla Lituania, prima e imbattuta nel nostro girone della seconda fase.
Non solo non è andata così, ma è scoppiata anche la polemica con Gallinari. Se con Datome e Melli c’era l’accordo perché rientrassero a settembre, Sacchetti ha dichiarato che da Gallo è arrivata una chiusura totale all’azzurro. Attraverso una intervista, il giocatore ha risposto invece che lui è assolutamente disponibile per le partite di settembre, salvo beneplacito dei Los Angeles Clippers che lo pagano. Non avendo ascoltato la telefonata tra il c.t. e Gallinari non sapremo mai cosa si sono detti veramente. Diciamo che la logica ci fa propendere per Sacchetti: non avrebbe avuto alcun senso tutto quello che è accaduto se non avesse ricevuto un no secco. Il presidente Petrucci ha fretta di archiviare la cosa come un classico misunderstanding ma il buonismo non aiuta: non è un mistero per nessuno nel mondo della pallacanestro che dopo il preolimpico e dopo la scorsa estate, quando Gallo si ruppe la mano per aver colpito un avversario in una amichevole e saltò l’Europeo, i rapporti con alcuni compagni e in generale la Nazionale non sono buoni anche per alcuni atteggiamenti sbagliati, post infortunio, del giocatore. Questo è solo l’ultimo atto e adesso non ha senso fare il tifo per Sacchetti, per Gallinari o per il buonismo federale. Bisogna risolvere il problema alla base. Soprattutto, nel nuovo mondo delle nazionali, i c.t. sono di fronte ad un dilemma quasi irrisolvibile: visto che i 2/3 delle qualificazioni sono giocate senza i big della Nba e dell’Eurolega, poi se una squadra va al Mondiale, con che formazione si presenta? Con i più forti in assoluto assenti durante l’anno? Secondo me, il nostro c.t. vorrà salvaguardare chi ha contribuito al risultato e non fare come in passato quando i giocatori Nba hanno goduto di privilegi rispetto agli altri. Privilegi che hanno spaccato il cuore dell’Italia. Sacchetti non ha più Gallinari nella squadra. Nelle qualificazioni della scorsa settimana sono scesi in campo Schroeder per la Germania, Valanciunas e Sabonis con la Lituania, Batum, Fournier e Gobert per la Francia, Saric e Bogdanovic, che ci ha massacrato, con la Croazia e altri giocatori Nba, e non solo in Europa. Dopo quello che è accaduto l’anno scorso, se Gallinari avesse avuto a cuore l’azzurro bastava una visita a Trieste e non una intervista a distanza, e poi una lettera sui social, “contro” il c.t.
Che cosa ricaviamo da questa storia? La prima è che siamo, come al solito, nei guai. La Nazionale s’è messa nella condizione di mancare la qualificazione mondiale e adesso avrà davvero bisogno di tutti i più forti per battere a settembre Polonia e Ungheria. E chi vuole andare al Mondiale, deve esserci: non possono esistere scuse. La seconda, però, è più importante. Il nuovo calendario ha forzatamente cambiato il bon ton delle convocazioni e delle rinunce alla Nazionale. Non è vero che all’Italia non si può dire di no come dice Petrucci e pensavamo tutti noi fino a qualche anno fa. Se un giocatore, più che legittimamente, decide di non rispondere a una convocazione anche se non è infortunato o impossibilitato dall’attività parallela col proprio club, ha tutto il diritto di farlo. Poi, però, deve mettersi in coda dietro a tutti gli altri e aspettare di essere richiamato senza dare per scontato di poter tornare quando vuole, per quanto forte sia. Se vuole dare la propria disponibilità, lo deve dire prima al c.t., poi ai social. Tutti gli azzurri, non solo quelli della Nba come accadeva in passato, hanno il diritto di dire no come il c.t. ha il diritto di non convocarli. Non esiste più spazio per chiacchiere e trattative: bisogna sapere, con chiarezza e pubblicamente, perché un giocatore non c’è. Ognuno poi deve prendersi le responsabilità su quanto la sua scelta peserà sul futuro, suo e della Nazionale.
Post scriptum: c’è un’altra cosa della Nazionale che non mi piace, ma nessuno ha fatto una piega e probabilmente mi sbaglio io. A settembre, Sacchetti potrà convocare anche Jeff Brooks che avrà il passaporto italiano. In ballottaggio con Chris Burns (c’è posto per un solo naturalizzato in Nazionale). Il regolamento appena modificato dalla Fip permette che Brooks venga equiparato agli atleti di formazione italiana subito, a tutti gli effetti, anche per il campionato se gioca una sola partita ufficiale in Nazionale. Tanto che danno tutti per scontato che l’Olimpia Milano lo abbia ingaggiato “come italiano”. Domanda: secondo voi è possibile che la responsabilità di cambiare lo status sportivo di un giocatore pregiato cada sulle spalle del c.t. con tutto ciò che ne consegue sul campionato italiano e sui guadagni del giocatore stesso? E se Sacchetti preferisse Burns e non “italianizzasse” Brooks, cosa accadrebbe? Milano gli chiederà i danni? E quando avremo bisogno di Brooks in Nazionale a novembre e febbraio, Milano, dirà no perché c’è l’Eurolega? Un pasticcio. Fortunatamente, diciamo così, l’Olimpia è comunque già la squadra più forte e ricca e Brooks un giocatore che Sacchetti ha avuto a Sassari e stima. Nessuna dietrologia, quindi, sulla sua italianizzazione ma non è una responsabilità che deve competere a un allenatore ma alla federazione. Peraltro Brooks gioca nel ruolo di Gallinari. E qui si torna al punto uno, alla volontà di risolvere una situazione critica una volta per tutte. Un bel casino.
Luca Chiabotti