Immagine di copertina © Il Fatto Quotidiano
Milano, 29 novembre 2018, in un San Siro semideserto va in scena il quinto turno della fase a gironi dell’Europa League. È Milan contro F91 Dudelange, squadra lussemburghese vincitrice di sedici titoli in patria. Pare una passeggiata e, invece, dopo il risicato successo strappato all’andata grazie ad un lampo di Higuain, un Milan rimaneggiato sotto la guida di Gennaro Gattuso si trova sotto nel punteggio al ’49 minuto. Solo un piccolo spavento: Il gelo sceso sugli spalti è presto cancellato nel corso della ripresa. Al triplice fischio saranno infatti cinque le reti messe a segno dai rossoneri.
Una campagna europea, quella del Dudelange 2018 – 2019, che in patria ricordano bene e che è servita indubbiamente come banco di prova per provare ad innalzare il livello della Division Nationale, la massima serie del calcio lussemburghese. Un risultato, però, figlio di un percorso iniziato nel 2002, quando la Federazione locale attuò una vera e propria riforma del sistema calcio del Granducato. “Stiamo raccogliendo i frutti del sistema creato nel 2002, venti anni dopo” – commentato orgogliosi a “Letz.Fussnews” i dirigenti federali, che nel settembre del 2018 hanno anche avuto il merito di far raggiungere alla nazionale il miglior piazzamento nel ranking FIFA, l’ottantaduesimo posto.
Tutto è partito, e in Italia dovremmo averlo ormai capito, dalle strutture: un ampio budget è stato infatti destinato alla costruzione dell’enorme centro di allenamento di Monnerich e ad uno stadio nuovo di zecca, lo Stade de Luxembourg, il cui taglio del nastro è avvenuto nel 2021 e che può ospitare quasi diecimila tifosi. Il secondo passo è stato fatto nella direzione di un massiccio potenziamento dei settori giovanili: dall’u-12 fino all’u-19 ci sono sessioni di allenamento tutti i giorni e, compiuti i diciassette anni di età, i migliori prospetti del calcio lussemburghese vengono mandati in prestito a farsi le ossa o in Bundesliga o in Ligue 1. La riforma ha poi interessato anche la panchina, attorno alla quale si segue una sola parola d’ordine: continuità. Luc Holtz, classe 1969 e allenatore dal 1990, è infatti il CT dei “leoni rossi” dal 2010. Per fare un confronto, i nostri “azzurri” hanno visto succedersi nel medesimo lasso di tempo ben cinque commissari tecnici in quel di Coverciano.
A Holtz va anche attribuito il merito di aver apportato un radicale cambio di mentalità. Al termine di una sconfitta contro la Bosnia Erzegovina nel 2011, si presentò in conferenza stampa ed espose a mo’ di manifesto programmatico quale strada da quel preciso momento in avanti avrebbe seguito l’intero sistema calcio del Lussemburgo: non più uno sterile ostruzionismo ma un gioco propositivo, che permettesse di manovrare la sfera anche nella metà campo avversaria. Il modulo scelto? 4-1-4-1. Gli interpreti? Calciatori giovani, l’età media della nazionale maggiore si assesterà dagli anni successivi sui ventiquattro anni, facilmente plasmabili, malleabili secondo il nuovo credo tecnico-tattico. Tra le squadre di medio rango, il Lussemburgo iniziò dunque a farsi una certa reputazione. Ne sa qualcosa CR7 che con il suo Portogallo passò a stento 2 a 1. Sconfitte, invece, senza troppi patemi d’animo sia la Macedonia del Nord che l’Irlanda del Nord. Anche l’Italia di Prandelli cadde nel trappolone: nel giungo del 2014, a pochi giorni dalla partenza alla volta del Mondiale brasiliano, Balotelli e compagni impattarono 1 a 1 al Curi di Perugia. Un’inquietante avvisaglia del disastro che poi si sarebbe materializzato in terra carioca. Nel 2017, però, il piccolo grande capolavoro. A Tolosa, la Francia è fermata sullo 0-0 nelle qualificazioni al Mondiale di Russia che “i galletti” avrebbero poi vinto contro la Croazia di Modric.
Un decennio davvero ricco di soddisfazioni e passi nella giusta direzione. Dieci anni che hanno tracciato la via da seguire. Sono cinquanta i canterani di Lussemburgo all’estero e venti i calciatori professionisti lussemburghesi attualmente fuori dai confini nazionali: si va dai vicini di casa, la Francia e il Belgio, passando per il Portogallo e, incredibilmente, anche gli USA. Un qualcosa di inimmaginabile fino a poco tempo fa. Tra gli atleti che hanno seguito il suggerimento della FLF, la Federazione lussemburghese, vale la pena di citare Yvandro Borges, classe 2004 del Gladbach, Leandro Barreiro, classe 2000 in forza al Mainz, e Mathias Olsen, nato nel 2001 e attualmente tra le fila del Colonia. L’entusiasmo dei lussemburghesi verso il mondo del pallone è riscontrabile anche nel sensibile aumento di coloro i quali si definiscono tifosi o appassionati di calcio, complice anche un accordo con RTL e la creazione di un servizio di streaming delle partite, e dalla decisione da parte della Federazione, una volta terminata l’emergenza COVID-19, di aumentare il numero di società di I e II divisione da quattordici a sedici partecipanti.
C’è poi un fattore che non si può trascurare: il Lussemburgo ha ben 640mila abitanti e un bacino d’utenza e flussi migratori che non sono minimamente confrontabili a quelli di altre micronazioni come San Marino (34mila abitanti) o il vicino Liechtenstein (38 mila abitanti). Un paese con il doppio degli abitanti dell’Islanda, un’altra nazionale che tra Euro 2016 e i Mondiali di Russia 2018 umiliò selezioni del calibro dell’Inghilterra e dell’Olanda. La speranza è di vedere il Lussemburgo all’opera ai prossimi Europei. Molto dipenderà dai risultati delle quattro capoliste dei giorni del gruppo C di Nations League nel corso delle qualificazioni. Le osservate speciali sono Turchia, Grecia, Kazakistan e Georgia. Essendo il Lussemburgo la migliore seconda del gruppo C, con la giusta sequenza di risultati potrebbe ritagliarsi un posticino ai play-off.
Sognare, diversamente dalla maggior parte dei prodotti in Lussemburgo, non costa nulla.