Il boccone amaro l’abbiamo dovuto ingoiare, ma forse è un bene. Ci costringe a pensare. La lezione nella partita decisiva per le qualificazioni mondiali contro la Spagna al Santiago Bernabeu è stata durissima e ha messo in evidenza i limiti del calcio italiano. No, non è il 3-0 il fattore umiliante, umiliante è stato vedere i giocatori azzurri, imbattuti nelle qualificazioni mondiali ed europee da 56 incontri, sistematicamente inferiori nei confronti diretti, quasi ridicolizzati in certe situazioni.
Certo, si dirà, che la nostra stagione è appena agli inizi, la condizione atletica non è ancora ottimale, forse abbiamo sbagliato la tattica e la preparazione dell’incontro, ma il parere di un profano come chi vi scrive è un altro: ai nostri giocatori mancano i fondamentali tecnici del gioco. Le cose semplici: il tocco di palla, il passaggio, il controllo, lo stop da fermo e in corsa, il gioco aereo, quello di prima.
Ci hanno stupito i dribbling di Isco, ci hanno ubriacato le intuizioni di Asensio: ma perché un movimento come quello italiano che ha prodotto i Baggio, i Rivera, i Mazzola e i Totti non riesce più a sfornare talenti? Forse per trovare la causa bisogna fare qualche passo indietro, sino ai settori giovanili, alla filosofia su come si insegna ai bambini a giocare a pallone. Ma si insegna ancora? Perché l’importante è vincere, anche quando gli allievi vanno poco più che a gattoni. E non pare un problema solo per il calcio, ma anche per gli altri sport di squadra. Quanti nostri cestisti sanno andare a canestro con entrambe le mani come succede agli slavi?
La verità è che ragazzino di 10 anni che gioca a pallone sa già entrare in una diagonale difensiva, ma se tenta un dribbling e perde il pallone viene sgridato, perché il “possesso palla” è sacro. Da troppi anni il nostro calcio si attacca alla tattica esasperata, con sofismi che ci hanno sì permesso di centrare anche grandi risultati ma alla fine hanno ucciso la fantasia e reso il gioco noioso. Forse c’è tempo per imparare la posizione in campo e come armonizzarsi con i compagni di reparto, costruire un fisico adeguato; ma perché, durante i primi passi di un ragazzo che sogna azzurro, frustrare le intuizioni e le azioni coraggiose che, al massimo livello si chiamano “colpi di classe”?L’istinto a volte fa miracoli… Allenatori come Nils Liedholm insegnavano calcio, costringevano anche i giocatori già consacrati a palleggiare per ore contro un muro con entrambi i piedi per affinare la sensibilità. Ora chi lo sa fare?
Così, in questo calcio muscolare e “cinico” arrivano in maglia azzurra ragazzi che faticano a eseguire uno stop, ali e terzini d’attacco che sanno solo passare la palla indietro senza affrontare mai l’avversario diretto, terzini che faticano a giocare di prima. Corrono, corrono, ma appena hanno un avversario davanti si bloccano. Quelle idee uccise quando erano bambini non riescono più a emergere nella piena maturità al massimo livello.
Lasciamoli giocare questi ragazzini, lasciamoli sbagliare. Forse è l’unica strada per trovare forse fra qualche anno i nostri Isco e Asensio.
Pierangelo Molinaro