La discriminazione territoriale è un reato solo calcistico. Se, per strada, dici al tale con cui stai litigando, che dall’accento hai riconosciuto come napoletano, “che il Vesuvio erutti e t’inghiotta” e lui ha inteso la mia cadenza genovese e replicato “che una mareggiata ti porti via”, nessuno dei due porterà l’altro in tribunale. Il problema, ahinoi, è che per anni, negli stadi, abbiamo ascoltato di tutto, dagli insulti semplici a quelli complessi, fino agli ululati nei confronti dei giocatori di colore. Abbiamo visto lanci di razzi, di petardi, di oggetti più o meno contundenti (dalla carta igienica alle bottiglie di vetro) e perfino un motorino fatto rotolare dai gradoni del più importante stadio italiano, San Siro.
Abbiamo letto striscioni con le peggio nefandezze e dopo averle denunciate, abbiamo voltato pagina. Adesso il tema forte è la “discriminazione”. Nell’ultimo weekend un arbitro, il migliore su piazza, Rocchi, ha fermato Roma-Napoli per gli insulti “territoriali” dei tifosi giallorossi ai loro nemici partenopei. A Verona, Mario Balotelli ha scagliato il pallone in tribuna, arbitrandosi da solo, perché bersagliato dai sostenitori della squadra di casa.
Non è che siano cominciati ieri, gli insulti, eh, ma adesso c’è un’acustica migliore e una sensibilità in aumento su certi temi. Purtroppo, quella che non è mai cambiata è la stupidità. Dopo le bordate dei cagliaritani a Lukaku, quelli dell’Inter, quelli di Koulibaly (ricordate?) scrissero una lettera esemplare al loro centravanti, la cui sintesi era, più o meno: “Non te la prendere, non è razzismo, non ce l’hanno con te per il colore della tua pelle, ma perché sei il giocatore più forte della nostra squadra. Noi facciamo lo stesso con gli altri”. Sublime.
Voglio arrivare a questo. Purtroppo negli stadi italiani c’è una grande mancanza, si chiama cultura. Non si può affrontare un tema alla volta, non si può fare la battaglia contro il razzismo senza cambiare radicalmente la cosiddetta “mentalità da stadio” nostrana. Certo, fermare le partite; certo, punire. Ma poi ricomincerà tutto come prima. Negli stadi italiani, non c’è, forse perché ce n’è poca anche fuori, cultura del rispetto, consapevolezza che l’insulto, di qualsiasi tipo, è qualcosa di sbagliato, di stupido, di profondamente ingiusto. Ma anche che crollare a a terra dopo un contatto di un avversario come se ti avesse morso una vipera del Gabon è indecente. E protestare contro le decisioni arbitrali come si protesta in Italia, è sconfortante. Altrettanto avvilente è assistere alla sfilata di dirigenti che chiedono “rispetto” dopo un rigore non dato. Ah, la Var te la raccomando ma ne parliamo la prossima volta. Cercare di risolvere il problema del razzismo negli stadi, senza affrontare il male del mondo calcio alla radice non porterà da nessuna parte.
PIATTO CONSIGLIATO
Cous Cous Eruzione (dell’hotel Ghibli di San Vito lo Capo), l’unica eruzione buona. Cous Cous al nero di seppia, colata lavica al sugo di ricci di mare.