“Basket Zone”, il nuovo magazine settimanale di DMAX con Gianluca Gazzoli ed Andrea Meneghin, promette dal 3 novembre ogni mercoledì dalle 23.15 un racconto più approfondito della stagione di serie A
Meneghin, come interpreterà questa nuova avventura sportiva di Discovery?
“Daremo un’impronta diversa, entreremo più nel dettaglio delle azioni e dei personaggi. Io del resto un po’ di esperienza me la sono fatta, ho cominciato da piccolino a 5 anni, a 16 ho esordito in serie A e anche nell’ultimo anno ho giocato con gli amici in serie C”.
Il basket in tre dimensioni: atleta.
“Idolo: col personalissimo modo di fare sport, di vivere emozioni uniche che non ritroverai ma nella vita”.
Allenatore.
“Guida: devi ottenere il meglio dai giocatori, devi saperti relazionare, devi essere sincero, devi rispettare l’uomo che c’è dietro l’atleta e ne influenza i comportamenti”.
Commentatore tv.
“Accompagnatore. Devi affiancare l’ascoltatore e narrargli la partita, rendergliela più piacevole, spiegare, non intrometterti, non diventare protagonista.Devi far scorrere il gioco e viverlo con chi guarda”.
Qual è il ruolo più difficile?
“Sicuramente l’allenatore. Anche perché non finisce con la partita o l’allenamento, ci pensi e ci ripensi per 24 ore al giorno, non torni a casa e stai tranquillo, ragioni sempre a come migliorare una situazione o un giocatore, ti fai mille domande, esamini di continuo gli errori, ti devi relazionare con 12 persone che non la pensano allo stesso modo”.
Quale ruolo dà più soddisfazioni?
“Sempre l’allenatore. E’ bello instaurare un rapporto, vivere coi ragazzi, parlare di tutto con loro. E’ bello rivedere quelli che ho allenato, scoprire che gli ho insegnato e gli ho trasmesso”.
Atleta, allenatore, commentatore: chi le ha dato i rimpianti più grandi?
“L’atleta: per gli infortuni ho smesso a 30 anni, sarei voluto arrivare a 35”.
Da papà, che rapporto ha oggi con papà Dino Meneghin, la leggenda del basket?
“Buonissimo, è migliorato esponenzialmente col passare del tempo”.
Andrea è sempre il figlio di Dino…
“E’ normale, papà è stato il più forte di tutti, all’inizio mi è un po’ pesato soprattutto per i paragoni. Questo è il vizio peggiore del giornalista: comparare sempre un giocatore a una altro. Io cerco di non farlo mai”.
Andrea e Dino Meneghin hanno vinto lo scudetto e un Europeo.
“Come scudetti io solo uno e lui 12, ma certo quell’Europeo vinto a 16 anni di distanza… E anche la partita uno contro l’altro ci hanno unito, come giocare nella stessa squadra”.
Quale delle due nazionali era più forte: la sua o quella di Dino?
“Quella di papà dell’83: l’avevo vista in tv e mi piaceva da matti, anche perché da bambino la nazionale è il top”.
Ha avuto tanti allenatori.
“Tanti hanno espresso una filosofia importante: Jo Isaac, Dodo Rusconi, Charlie Recalcati, Matteo Boniciolli, Greg Begnout, Ruben Magnano, Boscia Tanjevic. Tutti mi hanno dato molto, sono rimasto legato a tanti, anche a Virginio Bernardi e Cedro Galli. Senza dimenticare tutti quelli che mi hanno allenato nelle giovanili”.
Chi sarebbe voluto essere di loro?
“Boscia Tanjevic, per i contenuti umani che mi ha dato”.
Il compagno più forte che ha avuto?
“Poz”, Pozzecco”.
L’avversario?
“Tutti… Diciamo Bodiroga”.
Il compagno ideale?
“De Pol”.
Il numero 1 in assoluto?
“Jordan, era ed è rimasto il basket, avanti anni luce rispetto a tutti”.
Il basket italiano soffre i troppi stranieri?
“Sì, e vengono in Italia sempre più a basso costo, ma col 5 + 5 e il 6 + 6 c’è più spazio. Il problema vero sono gli impianti e soprattutto lo sport che dovrebbe essere molto più presente a scuola già dall’asilo per allargare molto di più la base: si dovrebbe fare tutti i giorni per due ore, si dovrebbe fare perché fa star bene tutti”.
C’è un mantra di Andrea Meneghin?
“Fare le cose con grande passione, non fermarsi alle prime difficoltà e viverle in modo giocoso”.
Il basket è sempre più 3 punti.
“Fa parte dell’evoluzione del gioco, si privilegino sempre più le soluzioni che portano a questo: oggi oltre il 50% dei tiri è da 3”.
Il salto di qualità già importante è stato sulla fisicità.
“Gli atleti sono sempre migliori: il lungo imbambolato non esiste più, è sempre più mobile, nella preparazione atletica si sono fatti passi avanti decisivi, oggi schiacciano tutti”.
Potendo scegliere in che giocatore di basket si vorrebbe reincarnare?
“In un bel centro potente, sarei curioso di viverla dal suo punto di vista”.
Vincenzo Martucci (Testo e foto tratti da ilmessaggero.it)