Alessandro Gentile torna in campo con la maglia dell’Hapoel Gerusalemme, la terza differente in una sola stagione. Sicuramente meglio che allenarsi da solo, come aveva scelto di fare dopo aver vissuto due esperienze negative in pochi mesi, all’EA7 e al Panathinaikos Atene. Il suo “caso” è stato il più eclatante di un anno opaco per i giocatori italiani, ma se n’è parlato solo per l’impatto che avrà sulle ambizioni della Nazionale, la prossima estate, come per gli infortuni che hanno frenato big come Andrea Bargnani e Daniel Hackett o atleti in pieno decollo come Stefano Tonut, appena recuperato.
Il vero problema, secondo me, che non riguarda solo l’azzurro ma la vita e i risultati quotidiani della pallacanestro italiana, è che i nostri giocatori non migliorano. Oggi possiamo essere davvero soddisfatti di Gigi Datome e Nicolò Melli, ormai star dell’Eurolega, ma che giocano all’estero. Ci sono Marco Belinelli, ormai consolidato come giocatore con un ruolo importante nella Nba, e Danilo Gallinari, che sta uscendo prepotentemente nelle volata per i playoff di Denver, con la miglior percentuale da tre nelle ultime 8 stagioni, al termine però di un anno interlocutorio e segnato da 17 gare saltate per infortunio/riposo. Anche loro non giocano in Italia.
Gli altri? Chiacchieravo l’altro giorno con Sandro Gamba e parlare coi grandi è sempre illuminante. Discutendo della pallacanestro degli anni Cinquanta, ha espresso un concetto che misura esattamente la nostra situazione attuale: “Il basket italiano andava avanti ma non progrediva”. Come oggi. E visto che il mondo attorno cresce, ci fa restare indietro. Ho sempre sostenuto che i nostri giocatori siano competitivi e ne sono ancora convinto. Come non sono d’accordo sul fatto che non ci sono abbastanza italiani per reggere tecnicamente la serie A. Ma ditemi il nome di nostro giocatore che ha fatto il salto di qualità quest’anno, che è salito visibilmente di livello, che ha messo nel proprio repertorio tecnico cose che non sapeva fare prima. E se Luca Vitali e Pietro Aradori, per età, puoi aspettarti che abbiano raggiunto il loro top, Dada Pascolo ha mostrato di poter competere anche al piano superiore, in Eurolega. Ma vien da dire “per forza” visto che è stato votato tra i migliori giocatori dell’Eurocup 2016. Andrea Crosariol sta disputando la miglior stagione in carriera, ma parliamo di uno che va per i 33 anni, dopo tanti treni perduti (è una caratteristica abbastanza comune per i lunghi italiani, segno che il sistema non li aiuta ad affermarsi da giovani).
Aspettiamo che Stefano Tonut si riprenda completamente, ma è chiaro che a livello internazionale, i miglioramenti dovranno essere misurati in difesa. Come per un altro big come Amedeo Della Valle, che nella propria metà campo non cresce (lasciamo perdere la scelta suicida, anche per la Nazionale, della federazione italiana di non far disputare le coppe a Reggio Emilia che ha quattro dei sei italiani più utilizzati in A e gli unici tre nostri rappresentati nei primi 45 realizzatori del campionato).
Anche Alessandro Gentile, pur avendo 24 anni, nelle ultime due stagioni s’è fermato, non solo per le statistiche. Certo, se il livello generale del gioco si abbassa, per uno che vuole il top è più difficile migliorare. Ma credo che sia il sistema a funzionare male. Sistema inteso come capacità di aiutare a gestire certe situazioni di “interesse pubblico”. Il caso di Gentile è emblematico. Finora le soluzioni trovate per salvare la sua stagione dopo il divorzio con Milano sono state poco convincenti: solo un atleta all’apice delle sue condizioni fisiche e mentali, come certamente non era Alessandro dopo la rottura con l’EA7, avrebbe potuto sopravvivere in una situazione tanto difficile e delicata come quella del Panathinaikos, a fronte di situazioni che avrebbero finito per ostacolarlo. E così è stato. Anche allenarsi da solo non è stata una scelta ideale visto che le difficoltà di Gentile non sono tecniche ma, come si evince dalle parole di chi lo ha avuto a Milano o Atene, di rapporti con una squadra, in campo e fuori. Adesso va da Simone Pianigiani, che è ovviamente una garanzia, in un’altra situazione delicata, in una società molto ambiziosa ma in difficoltà: mancano 8 giornate alla fine della stagione israeliana, ma l’Hapoel si gioca tutto nelle prossime 5 gare altrimenti non si qualificherà neppure per le final four. E, da capo, la stagione di Alessandro potrebbe finire subito.
Probabilmente, se tutte le parti che hanno a cuore che Alessandro torni il prima possibile, cioè questa estate, al massimo livello continentale, avessero espresso un’opinione, la scelta più gettonata sarebbe stata che andasse nella squadra di D-League degli Houston Rockets, che hanno i diritti del giocatore, a prescindere o meno dal fatto che gli si offrisse in futuro un contratto nella Nba. I Rio Grande Vipers, tra i vice allenatori c’è Joseph Blair molto amato a Pesaro e Milano, avrebbero potuto aiutarlo per mille motivi, non fosse altro perché il c.t. Ettore Messina, che è il primo col quale Gentile dovrà misurare la sua voglia di rilancio ad altissimo livello, sta a 3 ore e mezza di auto da Hidalgo, dove giocano i Vipers. Ma, a questo punto, ben venga l’Hapoel, auguriamo con tutto il cuore a Gentile di avere successo.
Di tutto questo si parla sempre e solo in termini di impatto per la Nazionale. Messina avrebbe convocato Gentile se fosse rimasto fermo? Oppure, Danilo Gallinari, farà l’Europeo? In estate cercherà una nuova squadra da free agent e il super-contratto che vuole, ben superiore ai 15 milioni annui attuali, potrebbe anche non arrivare prima del raduno dell’Italia (e proprio in queste ore ha ammesso che deve pensarci e che ne ha già parlato con Messina). Ma la maglia azzurra è solo una conseguenza, il problema è quotidiano per tutto il nostro basket. Nella ribattezzata Lba, sono solo 46 gli italiani che stanno in campo almeno 10’, ma neppure quei pochi davvero giovani, cioè dai 22 anni in già, stanno crescendo. E la situazione non cambierà mai se la discussione si fermerà alla ormai ventennale e consunta lotta tra club e federazione sul numero di stranieri per squadra, uno in più, uno in meno, a anni alterni. Nessuno sembra davvero preoccuparsi del miglioramento dei nostri giocatori, anche quelli di punta, ma non possiamo permetterci di sprecare del talento quando potrebbe esplodere rischiando di farlo appassire. Il “caso Gentile” è stato il più eclatante.
Luca Chiabotti (foto Carlo Scaccini)