Ciao Usain, grazie. Grazie per averci regalato nove anni da dittatore in cui hai stravolto la storia della velocità. Grazie per quella capacità di sdrammatizzare anche le tensioni di una finale olimpica o mondiale, per quell’eterno sorriso e quella voglia di giocare che ti ha sempre contraddistinto. Sì, ci hai ricordato che la vita è bella e che lo sport può essere la sua ciliegina. Chissà cosa farai fra due settimane, quando ti sentirai un ex, ma non preoccuparti sei già nella storia del mondo.
Poco conta che ieri sera Bolt nella finale dei 100 dei Mondiali di Londra si sia piazzato terzo. Lascia la scena con 8 ori olimpici e 11 mondiali. Per la prima volta sul suo viso, in mezzo a tanti lazzi, sono apparsi i segni dell’emozione, quel sorriso più stirato del solito. Certo, non è più il miglior Bolt, quello che nel 2009 incendiava la lista dei primati e tagliava il traguardo già festeggiando. Nella partenza della finale ha regalato sei decimi di secondo in partenza allo statunitense Coleman (argento alla sua destra), non ha trovato la massima velocità (12,3 metri al secondo) dei giorni che hanno scritto la storia, incatenato da una rigidità muscolare che non aveva mai esibito. E’ stato il giorno della grande rivincita di Justin Gatlin, ma anche della più bruciante sconfitta dello statunitense, i “bu” del pubblico, che non dimentica il suo passato da doping, e tutta l’attenzione per quel mito che è riuscito a battere dopo quasi un decennio di batoste.
Il giamaicano ha forse fatto una volata di troppo? No. Impiegheremo forse anni per comprendere sino in fondo cosa è stato e le imprese di Usain Bolt. Ci travolse una notte a Pechino nell’agosto 2008 e non ha permesso più di risvegliarci sino a ieri sera. I paragoni sono sempre difficili e a volte improbabili, ma non è l’emozione del momento che ci fa pensare sia stato il più grande atleta di sempre. Più di un Carl Lewis, il “figlio del vento” che pareva più divino che umano, ma che non si è mai dimostrato un mostro di simpatia, più di Haile Gebrselassie che ha stupito il mondo dai 5000 alla maratona, ma che ha visto i suoi primati cancellati in pochissimo tempo. Il 9”58 sui 100 metri e soprattutto il 19”19 sui 200 di Usain hanno l’aria di resistere ancora per molte stagioni.
E ci sono imprese di Bolt che vanno al di là della pista e delle medaglie, forse più grandi. Ha salvato e resa florida un’azienda (Puma) che prima di sponsorizzarlo era sull’orlo del fallimento, ha cambiato l’immagine del suo Paese, la Giamaica. Cosa era l’isola caraibica prima di Usain? La terra di Bob Marley, del reggae, della marjuana, del rhum. Adesso è quella terra baciata da Dio che ha dato i natali ed ha plasmato l’uomo più veloce di sempre. Insomma, continua ad avere spiagge da sogno, ma ha guadagnato un rispetto ed una considerazione che prima non aveva. E soprattutto adesso tutti sappiamo dov’è quando abbiamo fra le mani un mappamondo.
Difficile, almeno sui 100 metri, trovargli un erede. I quattro turni dei Mondiali di Londra hanno dimostrato che la specialità è un po’ depressa se le stelle continuano ad essere Justin Gatlin (35 anni). Probabilmente la velocità nei prossimi anni sarà più interessante sulle distanze più lunghe, 200 e 400 metri, con stelle come Van Nierkerk e Makwala. L’atletica deve trovare in fretta nuove bandiere, ma personaggi della statura di Bolt, non si costruiscono, arrivano dal cielo.
Usain, se i compagni di squadra non lo tradiranno nei turni eliminatori, sarà ancora in pista sabato prossimo nella finale della 4×100. Saranno gli ultimi passi ufficiali di questo fenomeno che vedranno i nostri occhi. Gli altri sono già nel nostro cuore.
Pierangelo Molinaro