Il tifoso italiano è uomo di scienza? Un figlio dell’illuminismo? O è superstizioso, è cioè mentalmente fermo ad uno sterile oscurantismo medievale? “When you believe in things / That you don’t understand, / Then you suffer, / Superstition ain’t the way” (“Quando credi in cose / Che non comprendi / Dopo soffri, / La superstizione non è la soluzione”) – cantava nel 1972 il genio del soul Stevie Wonder. Eppure, tutto si può dire tranne che gli italiani non capiscano di calcio o, almeno, non abbiano la presunzione di esserne onniscienti. Dopotutto, oltre a santi, poeti e navigatori, lo Stivale ha sempre potuto vantare 60 milioni di allenatori. Time2play ha, però, deciso di andare ad indagare quanto spazio trovi la superstizione nelle vite di chi passa il proprio tempo tra curve, bar sport, piccoli schermi e maxischermi. Perché tutto si sa delle scaramanzie dei divi del pallone, molto meno dei riti propiziatori dei loro discepoli.
“Essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male.” – parola di Eduardo De Filippo. E a quanto pare certi appassionati di pallone continuano a fare fede a questa massima. A marzo 2023, Time2play ha intervistato appassionati di calcio tramite la compilazione di un questionario online, chiedendo loro delle informazioni in più sui loro livelli di superstizione prima delle partite. Il 50.2% degli intervistati era di sesso maschile, il 47.9% di sesso femminile e l’1.9% non binario. Su 1000 tifosi di tutte le squadre di serie A, Time2play ha calcolato che il 33,1% è superstizioso e possiede la sua personalissima lista di riti propiziatori, affinché il lunedì, calendario permettendo, si possa entrare a scuola o in ufficio col sorriso e con lo sfottò già pronto ai danni del rivale di tifo.
Chi è scaramantico non crede nel libero arbitrio o nel fato omerico. O meglio, può far finta di crederci, ma sa che il lieto fine per la sua squadra del cuore dipende da una rigorosa ritualità partorita da chissà quale area recondita del nostro cervello. Così, abbiamo bisogno di pensare che sarà vittoria certa se mentre laviamo i piatti ci tocchiamo due volte la punta del naso, oppure che la punta di diamante dei nostri colori farà doppietta perché abbiamo salito i gradini pari della rampa delle scale di casa. Com’è facile intuire, ci sono tifoserie più scaramantiche di altre. In testa, i laziali: il 60% afferma di avere le proprie ferree liturgie prima di ogni incontro. A seguire i grigiorossi della Cremonese, il cui 40% è attanagliato dalla superstizione. Al terzo posto troviamo l’altra metà della Capitale: il tifo giallorosso attua per il 34% scaramanzie di ogni sorta prima di ogni partita della Maggica. Quarto posto per i partenopei (30,27%) e quinta piazza per i cugini granata della Salernitana (30%).
Il risvolto più tragicomico per coloro i quali si professano devoti alla superstizione sono le ragioni della sconfitta. Il 22,3% di tutti i tifosi intervistati ha dichiarato di essersi colpevolizzato almeno una volta per la malasorte della propria squadra del cuore. Questo, perché non aveva osservato i riti prestabiliti, commettendo così l’irreparabile. Andiamo a vedere, però, quali sono i rituali più diffusi tra i calciofili italiani. Domina, con il 49,6%, l’assistere alla partita circondati dal calore di certi famigliari o amici rigidamente selezionati. Il turnover è bandito. E se anche un noto colosso di bevande analcoliche contribuisce ad alimentare queste abitudini con i suoi spot pre e post-partita dubitare di questa regola rischia di trasformarsi, per qualsiasi tifoso, in un beffardo boomerang. L’abito non farà il monaco, ma nel calcio le cose sembrano andare diversamente: il 48,8% dei tifosi indossa specifici capi di abbigliamento, biancheria intima inclusa, mentre guarda la partita. Non importa se da casa o allo stadio. Altro rituale che va per la maggiore è quello di ricoprire, per quanto possibile, sempre la stessa posizione, pardon, lo stesso ruolo sul divano di casa: c’è chi è esterno destro, chi centrale di difesa e chi si piazza sull’estrema punta della penisola per avere la migliore visuale di gioco possibile. Guai a fare esperimenti di formazione.
Il 31,2% ha poi affermato di servirsi degli amuleti più disparati, dai classici cornetti napoletani a vecchi e logori gusci in lattice per telecomandi. Il 21,6% opta, invece, per l’ascolto di un brano portafortuna o, in alcuni casi, di un’intera playlist in grado di ingraziarsi gli astri. Sarebbe bello avere un’enciclopedia degna di Diderot e D’Alembert che possa schedare tutti questi affascinati rituali. Da quelli più classici a quelli più peculiari, inspiegabili. Un tomo che si soffermi senza snobismi di ogni sorta sui più ingenui e inconfessabili riti apotropaici che pervadono le nostre vite, “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio” per intenderci, e che ci rendono docili schiavi. Il tifoso può razionalizzare qualunque cosa, meno quelle che riguardano la squadra del cuore.