Avete visto che belle partite sono stati i playoff d’Eurolega? E, soprattutto, non avete avuto anche voi l’impressione che la pallacanestro che si vede sui nostri campi non c’entri nulla con quella di chi lotta al vertice in Europa? Non parlo di bellezza del gioco: anche nelle sfide tiratissime che hanno scelto le quattro partecipanti alle Final Four si sono viste percentuali di tiro disastrose, errori banali, quarti interi nei quali nessuno ha fatto canestro. Eppure la sensazione immediata è che l’impatto mentale, e quindi fisico, dei giocatori più forti e delle squadre in campo sia stata di un livello per noi attualmente inarrivabile. Del resto è scoprire l’acqua calda, considerando che Milano, che finora ha dominato la stagione italiana, è arrivata ultima in Eurolega.
Per la seconda volta nelle ultime tre edizioni, a contendersi il titolo europeo saranno Cska Mosca, Real Madrid, Fenerbahce Istanbul e Olympiacos Pireo. Per i russi è la sesta Final Four consecutiva, per il Real è la quarta in cinque anni, per l’Olympiacos, l’ultimo a riuscire a vincere due edizioni di fila nel 2012 e 20013, la quarta in sei stagioni e per il Fenerbahce è la terza nelle ultime tre. Molto, ovviamente, ha a che fare con il denaro che spendono. Ma non è solo questo: bisogna avere tanti soldi per vincere ma averli non garantisce di riuscirci. Ormai in Europa s’è creata una élite consolidata che si autoalimenta vincendo: negli ultimi 10 anni, solo 11 club sono riusciti a qualificarsi alle Final Four (cioè su 40 posti potenzialmente a disposizione). E nelle ultime 15 edizioni targate Euroleague, solo sei società hanno vinto il titolo. Nello stesso lasso di tempo, sono state 9 nella Champions League di calcio e 8 nella Nba. Tre dati fondamentali: il primo, rispetto alle Final Four 2014-15, tutte e quattro le squadre hanno gli stessi allenatori. Il secondo è che, sempre in confronto al 2015, Real, Cska e Olympiacos ripresentano complessivamente 21 giocatori, comprese le stelle (Llull, Ayon, Rudy, Spanoulis, Printezis, De Colo, Teodosic). E anche il Fener ha trattenuto Bogdanovic e Vesely: all’appello generale dei big mancano Rodriguiez e Bjelica che sono andati nella Nba. Infine, Grecia a parte dove è in atto un duello infinito al massimo livello europeo tra due sole formazioni, Olympiacos e Panathinaikos, non è un caso che le squadre più vincenti siano il prodotto dei campionati nazionali tecnicamente migliori d’Europa: Spagna, Turchia e Vtb russa. Esattamente come succedeva fino a una dozzina di anni fa, quando la serie A era al top e le due bolognesi, Treviso, Siena erano presenze fisse tra le migliori del continente (ma tutte le italiane riuscivano comunque a farsi onore).
Con questi presupposti di continuità, forza ed esperienza, provare a fare un pronostico è impossibile. Ovviamente due sole hanno vinto (Real nel 2015, Cska nel 2016) ma tutte e quattro hanno disputato la finale. Il fattore campo potrebbe spingere il Fenerbahce verso il primo titolo per una squadra turca, ma prima deve battere il Real in semifinale. Dove solo il Cska appare leggermente favorito contro l’Olympiacos se non si sapesse già che i greci sono la peggior squadra da affrontare quando sono sfavoriti, perché hanno una capacità straordinaria, e quasi magica, di risorgere anche da situazioni apparentemente senza uscita. Le Final Four rappresenteranno per l’ennesima volta l’apoteosi della capacità dei migliori giocatori di essere performanti mentre sono schiacciati da una pressione inaudita. Siamo ad un paio di livelli più in alto rispetto alle capacità messe in mostra anche dagli atleti più forti e talentuosi che vediamo nel nostro campionato.
In questo momento, la pallacanestro italiana è fuori dai giochi sia come budget, anche se Giorgio Armani potrebbe dare all’Olimpia risorse da Nba se solo lo volesse, sia come qualità. Se invece di rassegnarci davanti agli eventi, vogliamo provare a fare qualcosa per risalire, è ancora una volta l’Europa la strada più veloce per riuscirci. Cancellato l’abominevole diktat federale che ha vietato quest’anno la partecipazione dei nostri club all’Eurocup, la speranza è che la prossima stagione le sei, sette migliori formazioni d’Italia si buttino nelle tre coppe europee con l’ambizione di essere competitive per tentare di vincerle. Vuol dire provare a costruire delle squadre e allenarle secondo standard superiori e non considerare l’impegno europeo come un di più che non segna la stagione. Senza fare troppi giri di parole, non c’è stato alcun motivo per cui Venezia, Avellino o Sassari non dovessero partire per vincere la Fiba Champions League, la terza coppa per livello. E il modo in cui la Reyer s’è presentata alle Final Four, sculacciata da squadre di medio livello internazionale, mostra il deficit di mentalità anche tecnica dei nostri club oggi al vertice della serie A. Bisogna lavorare e prepararsi perché, quando l’Euroleague sarà allargata a 18 squadre, una seconda italiana possa essere presa in considerazione.
Dei playoff d’Eurolega c’è stato un altro aspetto interessante: si sarebbero potute formare due squadre con giocatori che hanno militato nelle nostre squadre. Su otto formazioni, ben 20 atleti, compresi Datome, Hackett e Bargnani, hanno un passato nei nostri club. Per alcuni, come Jaycee Carroll, Kyle Hines, Bobby Dixon e James Gist parliamo di molte ere geologiche fa, e non possiamo parametrarne i miglioramenti rispetto al nostro campionato. Ma alcuni sono più freschi e se è impressionante la crescita di Mike James e Brad Wanamaker, tutti hanno fatto passi avanti, almeno come consistenza tecnica, da Bryan Dunston a Erik Green, da James Nunnally a Alex Kirk. E questo è un altro aspetto della necessità di tornare ad essere competitivi in Europa: se noi restiamo ai margini come sta accadendo sempre più in questi anni, anche la nostra potenzialità contrattuale nei confronti dei giocatori diminuisce, e i migliori se ne vanno. Non è solo una questione di soldi, i giocatori scelgono, a parità di cifra, chi fa le coppe, in ordine di importanza. Dobbiamo sbrigarci: dal 2005 a oggi, solo Siena è riuscita, due volte, a qualificarsi alle Final Four, giocando sempre alla pari con le big d’Europa. E non c’è più. Non è un caso che negli anni in cui due squadre italiane erano una presenza costante tra le migliori quattro d’Europa, anche la Nazionale brillasse. Una serie A di alto livello europeo fa bene anche all’Italia.
Luca Chiabotti