Il tennis spagnolo deve fortissimamente ringraziare Roberto Bautista Agut per questa prima settimana dell’anno. Battendo il numero 1, Novak Djokovic, e poi imponendosi al torneo di Doha, stoppando il prodigioso recupero di Tomas Berdych, l’iberico che non t’aspetti ha ridato coraggio all’intero movimento. Oltre a lanciare un bel segnale di vita anche al tennis mondiale in generale, a una settimana dagli Australian Open. E a riproporre, a 30 anni, il tema dei veterani che proprio non mollano, forti di esperienza, costanza e resistenza rispetto ai giovani rampanti.
Il tennis spagnolo è sempre più aggrappato a Nadal. In attesa dell’ennesimo miracolo atletico dell’undici volte campione del Roland Garros, il seme del Maciste di Maiorca ha prodotto un erede nella sua piccola isola, col solido e volitivo Jaume Munar, ammirato nelle seconde Next Gen ATP Finals alla Fiera di Milano-Rho. Mentre la Academy di zio Toni si fa una gran pubblicità sbandierando quel nome imbattibile, insieme al sole, alla tranquillità e alla possibilità di palleggiare fianco a fianco con il formidabile mancino di Spagna. Ma dietro Rafa, il movimento delle racchette accusa una forte concorrenza interna da parte del padel, e non presenta grandi personaggi. Il più plausibile è il 27enne Pablo Carreno Busta, targato 23 della classifica. Mentre i vari David Ferrer, Feliciano Lopez e Fernando Verdasco si apprestano ad abbassare il sipario su una carriera di secondi. E così l’acuto di Bautista Agut ridà fiato a una scuola essenziale, ma sempre validissima, nella quale tener sempre basse le gambe, essere sempre vivi nei movimenti, e coprire il campo, pur non avendo magari il colpo del k.o. garantisce sempre grandi soddisfazioni. Perché l’avversario non trova più spiragli e, con l’andar del match, nel disperdere energie psicofisiche, smarrisce anche fiducia e pazienza. Come ben si è visto in Qatar. Dove l’ex calciatore di buone speranze del Villarreal, peraltro figlio d’arte, ha rivoluzionato i pronostici. Riuscendo finalmente ad esprimersi nei momenti che contano dopo aver perso tante occasioni in passato. O magari cogliendole, ma accusando nel match successivo un calo di intensità che gli è costato caro.
Bautista Agut è un non personaggio, sin dall’aspetto, dal taglio di capelli, dallo sguardo sempre basso, dai modi pacati. Legato all’intimità della famiglia e alla tranquillità delle colline di Valencia dove alleva i suoi cavalli, in realtà esprime una modestia immotivata. “Non potrà più esserci un altro Nadal, ma io potrei essere un altro David Ferrer”, sostiene. Ma è molto più alto, potente e capace al servizio del piè veloce di Spagna e, in assoluto, è fra i tennisti più completi tecnicamente, come dimostra il fatto che ha vinto otto titoli ATP, su tutti i tipi di cemento, indoor e all’aperto, come anche su erba e terra. Forse la consapevolezza nelle possibilità è aumentata insieme al cambio di coach, dal maestro di sempre, Jorge Belles, al binomio Pepe Vendrell-Tomas Carbonell col quale, due anni fa, è salito al 13 del mondo. E ora, col successo di Doha, Roberto è tornato al 17, pronto a quel salto di qualità cui ambisce da tanto e che potrebbe coronare una carriera da comprimario di livello medio. Per riuscirci, però, deve forzare la sua indole e passare inderogabilmente contro altri big e nei tornei dello Slam, dove al massimo è arrivato agli ottavi in tutti e quattro. A conferma della sua ottima capacità tecnica. Finché l’anno scorso non è inciampato in una serie di infortuni, non riuscendo a dare continuità ai successi di Auckland su Del Potro e di Dubai su Pouille.
Riuscirà ad esplodere come altri maturati tardi, nella scia, ad esempio, del Kevin Anderson delle ultime due stagioni?
*articolo ripreso www.federtennis.it