Diana Shnaider è il Cavallo di Troia della Russia nel tennis. Ha tutto per essere americana: dall’aspetto, al gioco, all’abituale bandana che ricorda tanto i 50 Stati USA, dall’esperienza al college alla lingua, decisamente yankee.
Ma la potente mancina è nata il 2 aprile 2004. Zhigulevsk e s’è trasferita proprio per il tennis a Mosca a 9 anni con la famiglia. Basterebbe aggiungere quel Maximovna che le completa il nome per avere l’aiutino decisivo sulla neo regina del “250” di Tua Hin, in Thailandia, suo primo successo WTA Tour, trampolino per il numero 73 della classifica mondiale.
SVOLTA
Diana ha subito brillato, da junior, aggiudicandosi con compagne differenti il doppio di categoria a Wimbledon 2021 e agli Australian Open 2022.
A gennaio dell’anno scorso ha esordito negli Slam dei grandi superando le qualificazioni e un turno del tabellone principale ed entrando fra le top 100 del ranking delle pro, dopo di che ha giocato da protagonista una stagione alla North Carolina State (bilancio 20 vittorie e 3 sconfitte) qualificando il Wolfpack alle finali NCAA e collezionando una serie di attestati All American.
SOLDI
Senza la forte motivazione finanziaria e anche dei difficili spostamenti degli atleti russi, Diana non avrebbe accettato l’invito in North Carolina di “un’amica di mamma”. “Avevo davvero paura e pensavo a cosa avrei fatto ferma in Russia senza allenatore e senza partite…Ma nello stesso tempo mi chiedevo se la via del college non mi avrebbe precluso quella del tennis pro”, ha raccontato al New York Times.
Papà Maksim, che ha contribuito a plasmare il suo gioco, era contrario ma mamma Julia (insegnante di pianoforte che ha insegnato alla figlia l’arte della disciplina) ha creato il primo contatto con David Secker, l’allenatore dei primi tempi che la ragazza ha avvicendato appena ha potuto proprio col papà. Il successivo assegno di circa 200mila dollari incassato nel tour australiano dell’anno scorso ha convinto la biondina dal grande senso agonistico che non avrebbe deragliato dal WTA Tour, facendo al contempo una indispensabile esperienza da sola in terra straniera e diventando la prima giocatrice da Lisa Raymond nel 1993 ad entrare fra le top 100 mentre giocava in contemporanea al college.
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I sacrifici e le difficoltà a Raleigh, fra penuria di quattrini (eufemismo), lingua ed abitudini tanto diverse, hanno rafforzato Diana. Che ha dato così soddisfazione alla sostenitrice numero 1, Martina Navratilova, mancina come lei che l’aveva apprezzata a Melbourne nella battaglia vinta 7-6 7-5 contro Kucova e in quella successiva, persa 3-6 7-5 6-3, lottando, contro la ben più strutturata ed esperta Sakkari. “Ricordatevi il suo nome”, aveva twittato l’ex numero 1.
Ma, mentre Martina era scappata dalla sua Cecoslovacchia abbracciando la nazionalità americana, Diana non ci pensa proprio: “Ne abbiamo parlato spesso coi miei genitori, ma io sono contrario. L’ho detto a tutti quanti hanno cercato di convincermi. Come persona che gioca per tanti anni nella Nazionale, so che semplicemente non posso fare diversamente. Mi è stato insegnato ad essere un patriota del mio paese”.
Pur con tutti ragionamenti del caso: “Tutto ciò che sta accadendo, ovviamente, è orribile, ma collegare lo sport e tutta questa situazione è sbagliato. Quando guardi i nostri atleti che non gareggiano, ti senti dispiaciuto per loro perché hanno fatto questo lavoro per tutto il tempo, dedicandogli la loro infanzia”. Ben felice, comunque del paese di residenza, gli States: “Mi piace molto. Alla gente non importa da dove vieni”.
di Vincenzo Martucci, da SuperTennis TV