Di golfisti che sono passati dalle stelle alle stalle è pieno il mondo; ma quelli che sono stati capaci di rientrare si contano sulle dita di una mano. Non esiste una regola, ogni atleta è unico e irripetibile e ogni storia è un caso a sé. Tiger Woods è sicuramente il più grande rientro di tutti i tempi: «Un atleta non normale che ha fatto un rientro non normale», è la definizione di Lee Trevino e non credo si possano trovare parole migliori. Si è parlato tanto delle operazioni alla schiena e degli scandali famigliari ma non tutti sanno che, oltre all’aspetto fisico e personale, Tiger ha dovuto combattere il peggior nemico di ogni golfista: l’hip sull’approccio. A differenza del ticchio sul putt che con il pencil grip o il broomstick viene risolto, la paura di approcciare è un male quasi inestirpabile e lui è riuscito a sconfiggerlo.
Ora, dopo l’incidente di febbraio, lo aspetta un’altra missione impossibile che ricorda in tutto e per tutto quanto accaduto nel 1949 a Ben Hogan. Il quale, poco più di un anno dopo un terribile incidente, ha vinto l’US Open; e poi altri cinque Major. Ma per quanto io sia un eterno sognatore e mi auguri un identico finale del film, la ragione mi dice che molto probabilmente Tiger non tornerà; o, se lo farà, non potrà più giocare agli stessi livelli.
Ma di grandi rientri se ne possono raccontare tanti altri. Sergio Garcia intorno al 2010 ha praticamente appeso la sacca al chiodo e pensato seriamente di giocare a calcio nel Borriol, squadra di terza divisione spagnola, di cui tra l’altro è stato anche presidente. La sua è stata una crisi principalmente psicologica. Logorato dall’impietoso confronto con Tiger a inizio carriera e dal maledetto Major che non arrivava, l’ex bambino prodigio non ne poteva più. Tutto è fortunatamente rientrato anche grazie alla Ryder Cup che, dopo l’esclusione del 2010, l’ha visto protagonista e punto di forza della squadra europea in tutte le altre edizioni sin qui disputate. Poi, nel 2017 è arrivata anche la vittoria ad Augusta. Ma il sogno finalmente realizzato si è rivelato quasi un’arma a doppio taglio. Sarà appagamento o perdita di motivazione ma tutto fa pensare che “el Nino” si fermerà a un solo Major in carriera.
Prettamente tecnico è invece il problema che ha colpito Jordan Spieth. Dopo la vittoria all’Open Championship nel 2017 il problema dal tee, con cui conviveva più che bene sino a quel momento, è diventato un macigno. I problemi tecnici, se presi per tempo, sono i più facili da risolvere; ma se durano troppo e subentrano i ricordi negativi, diventano bestie terribili. Il push slice con il drive non sembrava trovare soluzione e non sempre può esserci un campo pratica a disposizione a destra del fairway, come accaduto alla 13 del Royal Birkdale, quando vinse l’Open Championship dopo avervi spedito il tee shot senza subire penalità e recuperando un bogey quasi incredibile. Solo dopo tre anni e dopo essere sceso fino al posto 92 del World Ranking, è riuscito a cambiare swing e ritrovare la fiducia dal tee per tornare competitivo. A oggi non ha ancora vinto; ma si può definire un giocatore recuperato.
Anche se non c’è stata una vera e propria crisi, mi piace parlare di Chicco che è pur sempre uscito dai cento dopo essere stato numero 6 al mondo. Anche i campioni sono chiamati ad affrontare i cambiamenti che la vita mette di fronte a ognuno di noi. Se Francesco avesse scelto di modificare radicalmente lo stile di vita della sua famiglia in un anno normale, le conseguenze a livello di World Ranking sarebbero state più gravi. Ancora una volta, come spesso accaduto nella sua carriera, ha fatto la mossa giusta al momento giusto. Dall’inizio dell’anno sono arrivate tre Top Ten ma tutti – e forse anche lui per primo – attendiamo la rivincita con Augusta.
Massimo Scarpa
Tratto da golfitalia. Foto da https://bleacherreport.com/