L’aveva chiaramente fatto capire più volte: la partecipazione di Roger Federer al Roland Garros era funzionale alla preparazione per Wimbledon. Dopo Ginevra, disputare qualche turno dello Slam rosso per avere più partite nelle gambe, comprese quelle al meglio dei cinque set. L’indomani del suo ritiro prima dell’ottavo di finale con Matteo Berrettini, però, è stata dura accettare la tesi dell’uomo avvisato mezzo salvato. Sarà che noi italiani eravamo carichi a mille per la sfida dei nostri Fab 3 ai Fab 3 di tutto il mondo, ma la scelta di Roger di abbandonare la contesa ci lascia per lo meno perplessi. Intendiamoci, è comprensibilissima e ci aveva in qualche modo avvisati sin da subito, ma siamo sicuri che sia perfettamente rispettosa di un torneo che ha fatto la storia del tennis e ha anche suggellato la leggenda stessa di Federer, con il trionfo del 2009 su Soderling e la coronazione del Career Grand Slam? Ritirarsi al terzo turno del Roland Garros, come fosse il torneo di Roccacannuccia, è così legittimo per la competizione? Non possiamo eludere la domanda, ma non possiamo nemmeno liquidare il Re, in odore di GOAT per sempre, con una piccola accusa sparata a caldo, magari solo perché ci ha reso monca la sfida azzurra ai tre giganti. Allora spazio ad accusa e difesa, Roger Federer sale sul banco degli imputati, nel processo del secolo.
La federazione francese ha subito colto la balla al balzo, felice di poter distogliere l’attenzione dei media dal fallimento sul campo dei francesi, per la prima volta nell’Era Open tutti (uomini e donne) fuori nella prima settimana del torneo. Ha così immediatamente ospitato questo discusso ma seguitissimo processo al Re. Naturalmente schierandosi apertamente dalla parte di Roger, come ha fatto Murray via Twitter.
In prima fila ad accompagnare l’imputato, una Mirka dallo sguardo a metà tra il distaccato e il feroce, come a dire “Ci mancava solo questa buffonata”. Come faccia a manifestare al contempo due espressioni così distanti è un mistero, ma meglio non incrociare il suo sguardo… Nelle file più arretrate, tutti cercano di scorgere la presenza di qualche giocatore, possibile che nessuno si voglia far vedere? Prevedibile che non ci sia Djokovic. Con la storia della sofferenza per essere il meno amato dei Fab, se fosse venuto manifestando solidarietà a Roger si sarebbe preso del ruffiano, se fosse al contrario stato zitto per poi tradire un ghigno nei momenti più duri per la difesa, la caterva di critiche via stampa e social network lo avrebbe seppellito. E Rafa? Possibile che non voglia dire la sua in una vicenda così grossa? Certo che è possibile, nelle due settimane di Parigi Rafa ha in testa una sola cosa, la Coppa dei Moschettieri. Il resto può aspettare. Ah ecco, un giocatore c’è. Quel personaggione di Sergiy Stakhovsky, il giustiziere di Roger a Wimbledon 2013, in quel terribile secondo turno di quel terribile 2013 che né Federer né noi dimenticheremo mai. Sembra molto più agitato e ansioso del campione di Basilea, chissà perché. È sempre stato un tipo complesso, mai banale, sempre spigoloso a dir poco. È capacissimo di aver pensato: “Se mai questa roba dovesse finire con una condanna, l’ombra che calerebbe su Roger non offuscherebbe di certo la sua leggenda, ma la “mia” sì”. Il terrore di venire dimenticati, cosa c’è di più umano?
Quanto a Federer in persona, non è mai stato difficile per lui schivare le domande appuntite, ma le risposte che dà al PM sembrano davvero le stesse che dà alla stampa dopo un match: diplomazia a mille, esposizione zero. In sala stampa come in tribunale, mette in scena la miglior difesa del circuito, in campo trionfa in tutto il resto. A uno così che gli devi dire? Mentre il processo prosegue, il pubblico ministero non molla un quindici e si lancia nell’invettiva: “L’imputato ha sempre dimostrato correttezza e classe, ma proprio per questo siamo stupiti del suo abbandono. Mi rivolgo alla giuria. Non si giudichi Federer sulla base del suo valore. Il punto è un altro. È legittimo che un giocatore si ritiri da uno Slam per prepararne al meglio un altro? Penalizzando la competizione in base alle preferenze personali? Queste domande valgono per tutti, al di là del giocatore in questione. Non importa se è una figura di secondo piano o un campione assoluto, dallo stile unico, dalla classe cristallina, dal talento più puro, insomma dal gioco divino. Chiedo anche a chi considera Roger Federer il dio del tennis di mettere tutto questo da parte“.
L’ultima frase rieccheggia come sostenuta da un eco… divina. Tutti i presenti sbiancano, consapevoli del sacrilegio che stanno consumando. D’improvviso spariscono tutti, giudice, pubblico ministero, Stakhovsky, i fantasmi di Djokovic e Nadal, anche Mirka dal duplice sguardo. Svanisce d’un colpo tutto questo sogno onirico e grottesco. Ci risvegliamo in un bagno di sudore, scossi e carichi di un senso di colpa insopportabile. Chi siamo noi per giudicare il dio del tennis?
*foto di Patrick Boren