Il mondo cambia e in modo inarrestabile. Ma quanto è successo nelle prime giornate nei 100 metri dei Mondiali di Londra lascia decisamente allibiti. Sabato la sconfitta di Usain Bolt nella sua ultima apparizione in pista, domenica quella di Eliane Thompson, solo un anno fa medaglia d’oro su 100 e 200 metri all’Olimpiade di Rio.
Su Bolt, qualche riserva c’era. Prima di Londra si era fatto vedere solo tre volte, a casa (Kingston), Ostrava e Montecarlo ed in nessuna delle tre occasioni era apparso il “fulmine” dei giorni migliori. Era stato persino accusato a Ostrava di volere una gara addomesticata, senza gli avversari più rognosi. Ma i due turni mondiali prima della finale avevano rassicurato. Sempre legnoso in partenza, ma quando innestava la marcia superiore dava ancora la sensazione di essere ancora davanti a tutti. In semifinale aveva persino scherzato con il giovane statunitense Coleman, guardandolo e sorridendo in frenata per non sopravanzarlo sul traguardo.
Ma in finale (tecnicamente di livello inferiore rispetto alle ultime edizioni di Olimpiadi e Mondiali) tutti i limiti sono venuti a galla. La partenza in salita, le difficoltà nell’accelerazione, poca scioltezza nell’azione, quella velocità massima lontana dai giorni migliori. Ha tagliato il traguardo con gli occhi sbarrati teso in uno sforzo incredibile. Non gli era mai successo. Mancanza di allenamento? Problemi fisici? Nessuno lo sa con certezza, di sicuro Usain, dopo aver vinto tutto non ha più trovato le motivazioni necessarie per avere quel filo di rabbia quotidiana necessaria per volare.
Ben diverso il caso di Eliane Thompson. La sua sconfitta è stata una vera sorpresa. Sino alla semifinale è apparsa un metro davanti alle altre. Perfetta nell’azione di corsa, sicura, pareva scherzasse con le avversarie. Ma imprevedibilmente qualcosa in finale non ha girato. E’ come se la ragazza che usa il rossetto viola non fosse riuscita ad ingranare la marcia che le serve per la massima velocità. Agli 80 metri è parsa in folle, come se avesse mollato. Puntare sul suo quinto posto nella classifica finale avrebbe reso miliardari.
I 100 metri sono atroci. Non ci sono né spazio né tempo per riparare agli errori, ma a Londra abbiamo assistito a due cadute verticali. Fatti che hanno comunque dimostrato che non è mai facile vincere, anche quando si è fenomeni. Bolt per nove anni ha fatto tutto alla perfezione e la perfezione non è umana. La Thompson da due stagioni è la più forte velocista del mondo, decisamente sopra le avversarie. Per questo la sua sconfitta è ancor più incomprensibile.
Così la Giamaica nelle due gare dei 100 ha raccolto solo il bronzo di Bolt. E’ la fine di un’epoca. Quella di questa piccola isola che umiliava i ricchi americani. Bolt imprendibile, ma c’erano anche i Mike Powell, ultimo primatista mondiale della distanza più corta dei 100 prima di Usain, i Blake, l’uomo che più di ogni altro ha avvicinato il “fulmine”. Non per niente il primato mondiale della 4×100 è ancora di questi atleti vestiti di giallo, verde e nero.
In questi anni si è pure ipotizzato di una razza superiore per lo sprint, nipoti di quegli schiavi di prima scelta che le navi dei negrieri provenienti dal golfo del Leone, rivendevano nei Caraibi, dove erano costretti a fermarsi per far scorta di acqua, prima di raggiungere il continente americano. Di certo, nella povertà di quel Paese, c’è un sistema scolastico che scova i talenti e da qualche decennio non è più costretto a lasciarseli scippare dagli Stati Uniti che offrivano le loro università.
Ma negli anni in Giamaica è emerso anche il doping, un sistema compiacente di controlli, molti campioni dalla Campbell, alla Fraser, agli stessi Powell e Blake caduti nella rete. Rete, che riscontrando dopo anni la positività di Carter, ha levato a Bolt l’oro della 4X100 dell’Olimpiade di Pechino. C’è sempre un’altra faccia della medaglia, ma invecchiando una generazione, non è facile per nessuno trovare talenti in grado di rimpiazzare i fenomeni.
Pierangelo Molinaro