Bill Russell, la cui recente scomparsa è stata doverosamente celebrata qui su SportOlimpico da Oscar Eleni, è sulla sinistra. Lew Alcindor, non ancora Kareem Abdul Jabbar chiude la prima fila a destra. In mezzo a loro siedono il protagonista della scena, Muhammmad Alì, che da poco ha abbandonato il suo vecchio nome, quello di Cassius Clay, e Jim Brown, già quarter back dei Cleveland Browns e attore (“Quella sporca dozzina” e, più avanti, “Ogni maledetta domenica”). Alle spalle dei quattro, come in un coro greco, svettano Carl Stokes, future sindaco di Cleveland, Walter Beach, defensive back (Cleveland Browns), Bobby Mitchell, half back dei Washington Redskins, Sid Williams, line backer dei New York Giants e futuro ambasciatore americano alle Bahamas durante la presidenza di Bill Clinton, Curtis McClinton, half back dei Kansas City Chiefs, Willie Davis, defensive end dei Geen Bay Packers, Jim Shorter, defensive back anche lui dei Redskins, e John Wooten guardia dei Cleveland Bowns. Tutti e dodici sono neri. È il Cleveland Summit dal quale sono trascorsi da poco (il 4 giugno) 55 anni. La riunione venne indetta, secondo molte fonti, per decidere quale supporto gli atleti neri avrebbero dato a Muhammad Alì, prossimo a una sentenza di condanna (20 giugno) per renitenza alla leva. Qui storia e leggenda divergono per una breve strada, prima di riunirsi in un finale glorioso, anche se non necessariamente un happy ending rose e fiori.
La cronaca dice infatti che a promuovere l’incontro tra Alì e gli sportivi neri più in vista dell’epoca fosse stato Bob Arum, la cui società, Main Bout, controllava i diritti televisivi degli incontri del campione del mondo dei pesi massimi sui canali a circuito chiuso americani. Della società erano parte anche il sopracitato Jim Brown che da poco aveva abbandonato l’attività di giocatore di football, e Herbert Muhammad, figlio di Elijah Muhammad, il leader della Nation of Islam cui Alì aveva dichiarato fedeltà, rifiutando per questo ad arruolarsi nell’esercito USA e a combattere in Vietnam.
La condanna del pugile e il conseguente divieto a difendere il titolo avrebbero significato una perdita economica enorme per tutti coloro coinvolti in quegli affari. Arum per questo cercava una soluzione “morbida”, un compromesso che pensava di aver trovato in una formula che salvava capra e cavoli: Alì non avrebbe indossato la divisa, si sarebbe limitato a disputare una serie di esibizioni per le truppe impegnate in Indocina.
La condanna sarebbe stata lieve e la sua carriera sul ring sarebbe proseguita senza ostacoli e senza interruzioni. Il compito originario degli atleti convocati a Cleveland, secondo Arum, era quello di convincere il pugile ad accettare quelle condizioni. In cambio, ognuno di essi avrebbe ricevuto delle quote della Main Bout, che insieme alla società di Jim Brown, la Negro Industrial and Economic Union, si sarebbe impegnata a promuovere l’emancipazione dei neri in America. Molti di loro erano ex militari e temevano che l’estremismo della Nation of Islam avrebbe condotto a un’ulteriore separazione razziale. Altri si sentivano sinceramente americani e pensavano che l’atteggiamento del campione fosse antipatriottico e mancasse di rispetto alla bandiera. L’idea, insomma, era di convincere Alì a sottoscrivere la proposta di Arum.
“Dai, … tutto quello che devi fare sono due o tre riprese per i soldati, dar loro un po’ di morale”, gli disse Curtis McClinton, che all’epoca era nei riservisti attivi. Niente. Alì fu irremovibile. La riunione durò ore, e alla fine il carisma del campione ebbe la meglio sui dubbi e gli interessi individuali. Il meeting terminò con una conferenza stampa in cui il pugile ribadì la propria posizione, appoggiato plasticamente da tutti i convenuti all’incontro. i quali accettarono la sincerità della sua posizione. Nessuno si chiamò fuori. Chi si era recato a Cleveland attirato dalla prospettiva di un guadagno economico, tornò a casa convinto della necessità di una battaglia antirazziale e per la libertà di religione. Bill Russell disse: “Alì aveva qualcosa che nessuno di noi possedeva, una fede sincera e assoluta. Io gliela invidiavo”.
Il Cleveland Summit doveva aprire la strada a un compromesso: divenne invece il simbolo di un’epoca, un caposaldo delle libertà civili. Un po’ come il primo bacio interraziale al cinema, quello tra Nichelle Nichols, Lt. Uhura, e William Shatner, Captain Kirk in Star Trek, nel 1968, l’anno successivo la condanna di Alì. Nichelle Nichols è morta a distanza di un giorno da Russell. Ma il mito di quell’epoca continua.
Gianluca Barca
*articolo e foto ripresi da www.sportolimpico.it