Alla prima stagione nella MotoGP, Franco Morbidelli si sta già preparando a un’altra sfida. Il pilota, ora in sella alla Honda del team EG 0,0 Marc VDS, l’anno prossimo passerà alla scuderia debuttante SIC (Sepang International Circuit) Yamaha Petronas, che sostituirà la squadra Angel Nieto e gli affiderà la M1 ufficiale come quella di Rossi e Viñales. Il campione del mondo uscente della Moto2 dividerà il box con il 19enne francese Fabio Quartararo, suo avversario l’anno scorso e rookie nella classe regina nel 2019.
Con il Mondiale agli sgoccioli, il “Morbido” tira le somme con l’ottimismo e la serenità che lo contraddistinguono. “Non posso dire che sia stata la stagione che un campione del mondo in carica sogna al passaggio di categoria: i problemi non sono mancati, dall’addio del team principal Michael Bartholemy alla frattura alla mano sinistra ad Assen. Eppure mi ritengo soddisfatto: mi ero prefissato di concludere la stagione come migliore rookie e l’obiettivo è a portata di mano” spiega il rider nato a Roma nel 1994.
È stato difficile adattarsi al prototipo?
“Sapevo che queste moto sono di un altro pianeta e ho avuto la conferma. Per questo motivo mi sono impegnato con tutto me stesso già dai test a Valencia, appena concluso il Mondiale scorso. Per esempio, ho modificato e rincarato l’allenamento: manovrare bolidi del genere richiede una forza fisica e mentale eccezionale. Il problema principale, però, va oltre le mie capacità”.
Cioè?
“Riguarda gli chi mi sta a fianco sulla griglia di partenza: dei fenomeni che guidano moto ufficiali. Nonostante non mi risparmi mai ed esegua al meglio le direttive, il divario è nettissimo, praticamente impossibile da colmare”.
Chi la stupisce di più in pista?
“La Ducati: è veramente pazzesca. Nessuna factory è al suo livello, dal punto di vista della tecnlogia”.
Il trasferimento dalla Honda alla Yamaha la preoccupa?
“Non tanto. La Yamaha è nota per essere amica dei piloti perché è poco ribelle. Questo non significa che sia tranquillissimo: sembra abbastanza facile da guidare ma, se hai ambizioni alte, devi lavorare sodo per costruirla su misura per te, altrimenti non riesci a sfruttare le sue potenzialità al massimo”.
Chiede mai consigli al “Dottore”?
“Certo e qualche caratteristica della M1 me l’ha già spiegata; approfitterò delle giornate al ranch per tempestarlo di domande. Valentino è un amico vero, oltre che un maestro: grazie a lui e alla VR46 Riders Academy sono cresciuto molto, in pista e fuori”.
È vero che è stato suo padre a portarla a Tavullia?
“Sì, conosceva Graziano, il babbo di Vale, perché erano entrambi piloti e ha chiuso la carrozzeria di Roma per trasferirci vicino a Tavullia. Papà Livio è scomparso nel 2013, qualche mese prima che diventassi campione europeo Superstock 600: quanto mi manca”.
Un suo insegnamento che mette in pratica?
“Dal punto di vista tecnico, nessuno: non mi correggeva mai, lasciava che mi guidasse l’istinto. In compenso mi ripeteva sempre che nello sport la serietà è indispensabile e tengo sempre a mente questa lezione”.
Da sua mamma cos’ha ereditato?
“L’atteggiamento easy, in perfetto stile brasiliano: mia madre è originaria di Recife. Risultato: sopporto bene lo stress e la pressione non è controproducente, anzi, mi spinge a dare il meglio”.
Le capita di avere paura, prima di una gara?
“Sì, la paura è sempre al mio fianco. Per fortuna: l’apprensione ti evita di prendere rischi troppo azzardati. Senza la paura non esiste il coraggio, secondo me: sei audace solo quando sai di affrontare qualcosa che ti spaventa”.
Al rush finale del campionato, qual è il ricordo più piacevole?
“A Phillip Island, ma non durante la gara. Come ogni anno mi sono goduto il mercoledì in circuito, quando ammiro l’Oceano nella pace assoluta, con i gabbiani all’orizzonte: uno spettacolo mozzafiato.
Cristina Marinoni
*articolo ripreso da Panoramauto.it
**Photo Credits : Dario Aio