“Da bambina mi dicevano ‘cosa giochi a football a fare, è una perdita di tempo’ tanto da farmi sentire inutile all’interno della società”. A parlare è Nausicaa Dell’Orto, un nome che richiama i paesaggi odissei di Omero, ma che nasconde un coraggio da leonessa degno del miglior Ulisse. Capitana della Nazionale di football americano e giocatrice delle MadCats Milano, la 29enne meneghina si è spesa particolarmente affinché il flag football potesse entrare nel novero delle Olimpiadi Estive. Uno sport poco conosciuto, ma che porta con sé parte delle regole del tackle con la differenza che per fermare un avversario è necessario strappargli la bandierina posta sui fianchi.
Un’impresa alquanto ardua, molto più complicata che superare una difesa arcigna e giungere in meta con la palla ovale. Il tutto perché in questo casi i limiti da superare non sono quelli imposti dai giocatori, ma da pregiudizi difficili da estirpare. Questi ostacoli sono divenuti purtroppo una costante per Nausicaa che da piccola doveva far i conti con un padre che, invece di favorire la sua passione, provava a farla desistere a suon di ceffoni. Il motivo era semplicemente uno: si trattava di uno sport inutile e peraltro per maschi.
“Mio padre era molto contrario all’idea che potessi giocare a football tanto da diventare violento. Inoltre mi ripeteva come quanto facessi non servisse a nulla e che allo stesso tempo non valevo nulla per società. Insomma, non proprio degli insegnamenti che ti possano far crescere – racconta Nausicaa -. Purtroppo ancora oggi ci sono molti uomini che online fanno hating sostenendo come noi siamo lente rispetto ai nostri colleghi maschi, siamo brutte da guardare e altre tipologie di insulti. Per fortuna ci sono però uomini come Rinaldo e Leonardo Franchi che sono stati i primi a dare a noi ragazze quanto era necessario, dai campi di allenamento ai coach passando per l’attenzione che ci serve e ciò ci spinge a considerare queste tipologie di persone, non gli haters”.
La battaglia della giocatrice azzurra viene quindi da lontano, da quando nemmeno esistevano i campi da gioco per le ragazze e Nausicaa era costretta ad allenarsi fra i prati di Parco Sempione. La situazione è per fortuna decisamente cambiata e, grazie alla battaglia combattuta dalla milanese sui campi dell’NFL (la lega di football americano più celebre al mondo), ha consentito di offrire dignità a una disciplina che prevede la designazione di un capitano diverso a seconda dei match affrontati.
“In realtà ne abbiamo più di uno perché la squadra è composta da diversi reparti che vanno rappresentati. Quando mi è capitato di svolgere questo ruolo ho sempre cercato di dare il meglio di me e mettermi a disposizione delle mie compagne tant’è che una volta ho affrontato l’allenamento a piedi nudi cedendo le mie scarpe a una collega che le aveva bucate – sottolinea Dell’Orto -. Quando sono capitana, sono abituata a scrivere alla vigilia una lettera a ogni componente della squadra ricordandole il motivo per cui è lì e il perché è importante. A differenza degli uomini, noi donne abbiamo bisogno di sapere il perché delle cose e per questo è necessario valorizzarle sempre”.
Nonostante le affinità con il football americano, il flag rappresenta una novità in campo olimpico portando la spettacolarità del tackle senza quei contrasti che spaventano chi osserva a bordocampo e soprattutto con tempi di gioco più contenuti. “Il flag football è una forma di football senza contatto, motivo per cui per fermare il portatore di palla non lo si placca, ma si tira una bandiera posizionata a lato del corpo. Essendo più concentrato rispetto al football americano, il campo è più piccolo, le partite sono più brevi, anche se la spettacolarità rimane la stessa – spiega Dell’Orto -. Anche in questo caso c’è un attacco che deve guadagnare terreno e una difesa che deve distruggere il gioco dell’altro ed evitare che gli attaccanti avanzino fino al touchdown. Nel tackle ci sono quattro tentativi per fare 10 yards, mentre nel flag ci sono quattro tentativi per arrivare a metà campo e poi altri quattro per arrivare al touchdown. Se non completi il primo obiettivo nei tempi previsti, la palla passa all’avversario e i ruoli si scambiano”.
Una situazione che per certi versi favorisce l’Italia che ha raggiunto livelli particolarmente elevati anche in campo internazionale e ha saputo giocarsela con nazioni come Stati Uniti, Canada, Messico e Svezia che rappresentano il “gotha” di questa disciplina. “Prima di arrivare alle Olimpiadi, abbiamo partecipato sia ai Mondiali che ai World Games che rappresentano i Giochi Olimpici per le discipline non riconosciute dal CIO. Lì la squadra maschile ha ottenuto l’argento alle spalle soltanto degli States a dimostrazione che anche l’Italia è stranamente forte. La Fidaf sta investendo moltissimo nello sviluppo di questo settore e per questo a Los Angeles puntiamo ad arrivare nelle prime otto al mondo, ma anche centrare il podio se possibile”.
Nausicaa non è tuttavia soltanto una sportiva, ma anche un’ottima comunicatrice come dimostrato dagli incarichi svolti per l’emittente televisiva Dazn e dai documentari realizzati in NFL dove ha raccontato dal vivo il clima del SuperBowl: “Ho cominciato a lavorare nella produzione televisiva tredici anni fa dopo aver studiato Lingue, Comunicazioni e Media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano prima di trasferirmi alla Boston University per un master in Tv Production. Da lì ho lavorato prima per Sky e poi per altri brand in Italia, oltre ad aver svolto per tre anni negli States – confessa Nausicaa -. Come spesso succede nel nostro paese per gli sport non olimpici ho sempre lavorato full-time, allenandomi al mattino e la sera tendenzialmente dalle 19.30 alle 21.30, ma talvolta anche dalle 21 alle 23. Nonostante la fatica sono convinta che quando hai vent’anni non far altro che affrontare più cose anche perché la vita succede tutta assieme”.
Il sogno di Nausicaa Dell’Orto rimane però quello di scendere in campo con l’Italia alle Olimpiadi Estive di Los Angeles 2028 confermando così le ottime prestazioni ottenute sinora a livello internazionale. Lì si potrebbero incrociare numerose star della NFL che per un momento potrebbero decidere di accantonare il football americano e concentrarsi sul flag. “Anche fra i big molti potrebbero esser attratti dall’occasione, ma per paura che incappino in qualche infortunio le squadre potrebbero impedirglielo. Nonostante ciò qualche fuoriclasse potrebbe inserire nel contratto una clausola per partecipare alle Olimpiadi così come ciò potrebbe capitare per le riserve o per chi non è stato preso durante il draft. Ciò che conta è che ora siamo alle Olimpiadi e nessuno potrà più dire che è uno sport che vale nulla”.