Mai lo sci alpino italiano aveva aperto i Campionati Mondiali con due medaglie d’oro dopo le
prime tre gare. Fortuna? Congiunzione stellare? No. Merito delle nostre donne che da anni
dettano legge. La nostra scuola tecnica di questa disciplina è di altissimo livello e non è un caso
che buona parte delle squadre dei Circhi Bianco e Rosa si avvalgono dei nostri allenatori. Ma in
una disciplina raffinata come lo sci non bastano tecnica e metodologia.
Il quid che porta al trionfo è il talento. Non te lo insegna nessuno, te lo regala Mamma Natura. E
quando lo trova, il compito di un tecnico è quello di plasmarlo e, soprattutto, non rovinarlo. Il
talento è un diamante da sgrezzare. Contano la sensibilità dei piedi, la capacità di “sentire” il
terreno, riflessi felini per adattarsi ad un fondo che in tante situazioni si comporta come un
serpente velenoso, muscolatura potente ed esplosiva. E la testa. Ecco, la testa è la centralina da
cui parte tutto. La centralina ti dice ed esempio quando devi rischiare e dove è inutile farlo.
La pista di Meribel, la “Roc de Feer”, la Montagna di Ferro, la stessa dove Deborah Compagnoni
conquistò la medaglia d’oro olimpica del superG nel 1992 ai Giochi Olimpici di Albertville, è
perfetta per esaltare le qualità delle nostre campionesse. C’è tanta pendenza, ma soprattutto è
estremamente varia, con dossi, cunette, variazioni continue di pendenza e luce. Insomma, il
cocktail perfetto per esaltare il talento.
Marta Bassino è soprattutto una gigantista, ma quando un superG acuisce gli angoli fra porta e
porta si esalta. Soffre ancora un poco le alte velocità (oltre i 100 all’ora), ma quando la discesa è
soprattutto valenza tecnica Marta ha pochi eguali. I suoi piedi ricordano tanto la Compagnoni,,
sensibili come le corde di un violino, e come Deborah ha una tale armonia nel gesto che riesce a
nascondere la potenza muscolare necessaria in ogni curva. Tante volte è talmente composta che
dà l’impressione di essere lenta, ma poi è il cronometro a dire la verità. Non deve sbracciare per
rimanere in piedi o fare l’acrobata perché il suo baricentro è quasi sempre in mezzo agli attacchi
dei suoi sci, pronto ad ammortizzare qualsiasi situazione imprevista con naturalezza.
Solo adesso Marta sembra avere raggiunto la piena maturità agonistica e probabilmente il bello
della sua carriera deve ancora arrivare. Fisicamente è integra, poche atlete dopo anni di carriera
posso dire di non aver mai subito infortuni gravi e le è fra queste. Segno che si sa gestire che non
prende rischi inutili quando non è necessario. Con le sue qualità probabilmente (se ci credesse)
potrebbe andare forte anche in discesa e forse un giorno lo capirà.
Non meno talentuosa è Federica Brignone, vincitrice in apertura dei Mondiali dell’oro della
Combinata. Peccato che la Federazione Internazionale stia abolendo questa specialità a vantaggio
di paralleli tecnicamente insignificanti e pericolosi per gli atleti. Perché niente più della combinata
rappresenta il suo credo sciistico, la polivalenza. E forse seguendo questo credo si è giocata più di
una vittoria in passato. Ma se questo è il suo istinto e sarebbe sbagliato frustrarlo. Pure la
Brignone ha piedi fantastici, che le permettono “carvate” percorribili solo da poche altre nel Circo
Rosa. Come la Bassino vanta un’impostazione di curva velocissima, da cui è capace di scappare via
in fretta appena dopo una porta e appiattire gli sci a caccia di velocità. Rispetto a Marta, la
Brignone ha più confidenza con con i 100 all’ora, fattore che, rispetto alla compagna, la favorisce
nel superG “autostradali”.
Elena Curtoni non può forse vantare il talento delle compagne, ma pezzo su pezzo è stata capace
di costruire una solidità tecnica ed una continuità straordinaria. Non è un caso che in questa
stagione sia sempre fra le prime classificate nelle prove veloci. E’ una pedina importante in
squadra, capace di emergere quando le compagne falliscono. Tecnicamente ha molto raffinato la
sua azione, le sue, soprattutto in superG, sono curve estremamente redditizie quando affrontate
ad alta velocità.
E poi Sofia Goggia. La campionessa olimpica di discesa non è arrivata a questi Mondiali francesi
nelle migliori condizioni. Ha nelle ossa le botte delle cadute patite nel’ultimo superG di Coppa del
Mondo ed in allenamento, una mano fratturata con piastrine e chiodi per tenerla insieme che non
gli hanno impedito di vincere il giorno dopo l’incidente una leggendaria discesa a St. Moritz. Come
si può non amare tanto coraggio?
Sì, lei è la campionessa del batticuore, colei che quando esce dal cancelletto non ti lascia respirare
tale è l’emozione che regala. Sofi pare sempre appesa a un filo, ma quel filo corre sempre
velocissimo verso il traguardo. Non ha i piedi di Bassino e Brignone, ma ha costruito tutto nel
tempo con una professionalità incredibile. In discesa in questo momento è la indiscussa numero
uno e per vincere le basterebbe scendere al 70 per cento del suo potenziale, ma lei non ne è
capace. Sempre a tutta, è la sua natura. Nessuna come lei ha confidenza con le alte velocità, più si
alza, più Sofia emerge.
Prepara ogni gara con estrema meticolosità, studiando la strada da percorrere in pista, le scelte
delle sue avversarie per confrontarle con le sue. Ha già vinto tre sfere di cristallo di discesa e, a
meno di cataclismi, fra un mese vincerà la quarta. Sabato sarà la sua giornata, per vincere quel
titolo iridato che ancora le manca.
Ma sabato non finiranno i Mondiali, la prossima settimana aspettiamo il gigante, dove Schiffrin,
Vhlova e Gut se la dovranno vedere ancora con Bassino e Brignone. Le nostre, con l’oro già in
tasca, correranno a cuor leggero, tocca alle avversarie rincorrerle. Lo scorso anno in questa
specialità su questa pista nelle finali della Coppa del Mondo vinse Brignone davanti alla Bassino.
Avversarie avvisate. Il bilancio dell’Italia Mondiali è già fatto. Sarebbe bello è importante se
arrivasse un segnale anche dalla squadra maschile…