Pippa o fenomeno? Quante volte ci siamo posti questa domanda, parlando di un giocatore? La storia del calcio è piena di esempi, nel bene o nel male, di portieri, difensori, centrocampisti, o più spesso attaccanti, passati dalle stelle alle
stalle, come si diceva una volta, o viceversa. L’ultimo caso, clamoroso, anzi clamorosissimo, è quello di Edin Dzeko, 31 anni il prossimo 17 marzo, centravanti bosniaco della Roma, capocannoniere con 19 gol (di cui uno su rigore) come il capocannoniere uscente Higuain, nel frattempo passato dal Napoli alla Juventus. Un anno fa Dzeko, alla fine del suo primo campionato nella Roma, aveva segnato 8 reti (2 su rigore), 2 meno di Pjanic, ben 6 meno dell’altro suo compagno Salah. Già questi numeri avevano il sapore della bocciatura, ma la bocciatura più grossa era quella dei tifosi che non ne volevano più sapere di lui, troppo alto per fare il centravanti, troppo lontano dalla porta per segnare, troppo legnoso nei movimenti, o peggio troppo “pippa”. E invece quest’anno la musica è cambiata, malgrado l’inizio tutt’altro che incoraggiante. Roma eliminata ai play off di Champions League dal Porto e Dzeko considerato una semplice riserva. Ma uno che aveva sempre segnato in tutti i campionati, soprattutto in Germania nel Wolfsburg, e in Inghilterra nel Manchester City, quando Mazzarri lo avrebbe voluto all’Inter, non poteva essere una pippa, né tanto meno essere finito a 30 anni. Spalletti che di calcio nel capisce più di Garcia, il primo allenatore di Dzeko alla Roma, è stato bravo a rilanciare questo bosniaco dall’aria mite, gentile fuori ma spietato in campo. Perché Dzeko è il classico centravanti che può non piacere ai tifosi quando sbaglia gol apparentemente facili, ma piace tantissimo agli allenatori perché lavora per la squadra, raro esempio di goleador altruista. E così al pronti via in campionato, Dzeko ha segnato subito una rete nel 4-0 all’Udinese, poi una doppietta al Crotone, il primo gol all’Inter, le doppiette al Napoli e al Sassuolo. Gol a grappoli, insomma, fino alla tripletta europea sul campo del Villarreal, seguita domenica scorsa dalla prima rete contro il Torino. Senza dimenticare gli assist ai compagni e i rigori procurati. Un giocatore felicemente ritrovato, per tre motivi: la fiducia di Spalletti che non ha mai smesso di credere in lui; la maggiore conoscenza del campionato italiano; e infine, o meglio soprattutto, il suo carattere forte e positivo. Perché Dzeko non ha mai dato la colpa agli altri, ma ha avuto il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue difficoltà iniziali, senza prendersela con i tifosi o con i critici, togliendosi i famosi sassolini dalle sue scarpe pronte a segnare ancora. Una silenziosa lezione di stile insieme con una applaudita lezione di gol.
(foto GMT)