Sono proprio gli Us Open delle sorprese. Che Garbine Muguruza salisse al numero 1 del mondo delle donne ci stava: la spagnola, riesplosa per magia a Wimbledon, dopo la batosta del Roland Garros dove non ha difeso il titolo 2016, è la più completa fra le protagoniste di primo piano. Sicuramente meglio della semi-mobile picchiatrice Karolina Pliskova e della veloce Simona Halep, come delle altre troppe pretendenti al trono lasciato vacante da mamma-Serena Williams. Ma chi avrebbe mai pensato che a New York ci sarebbero state, dopo 36 anni, semifinali femminili tutte a stelle e strisce, con una finale fra le due stelle giovani di casa più pubblicizzate, ma che tardavano a maturare? La sfida per il titolo fra Sloane Stephens e Madison Keys era davvero impronosticabile anche per i media yankee, che infatti sono rimasti totalmente spiazzati, dopo anni di domande sulla crisi del tennis americano disperatamente aggrappato dalle sorelle Williams, dopo l’addio di Davenport e Capriati. Sarà anche una bella e importante finale, sulla carta equilibrata, fra l’atleta naturale, più completa, e la potente picchiatrice più a una dimensione. Sarà una sfida decisiva molto importante per la carriera di tutt’e due le contendenti, che sono molto giovani, con un pizzico d’esperienza in più della 24enne Stephens rispetto alla 22enne Keys. La prima tutt’americana dal “Williams show” 2002, la prima dello Slam senza le sorellone addirittura dal 1990, quando Martina Navratilova superò Zina Garrison at Wimbledon. La più indimenticabile per entrambe, tutt’e due reduci da infortuni. Perché la Keys è stata operata due volte al polso, ma la Stephens, dopo undici mesi di stop e dopo un’operazione per una frattura da stressa al piede sinistro, ai primi d’agosto era scaduta addirittura al numero 934 del mondo. Ed ora è una persona nuova.
E’ il torneo delle sorprese anche fra gli uomini perché tanti sono stati i giovani della NextGen che si sono messi in evidenza quest’anno, ma pochi avrebbero puntato su Rublev e Shapovalov come principali protagonisti fra gli under 21 a New York. Così come i più avrebbero scommesso su Roger Federer, dopo la sua straordinaria stagione e la propensione sul cemento, ma il Magnifico, che tanto era stato cauto e intelligente nella ripresa di dodici mesi fa, quand’era rimasto lontano dal tennis malgrado le sirene dell’Olimpiade di Rio, s’è ingolosire dalla possibilità di tornare clamorosamente al numero 1 del mondo. E, giocando in Canada, ha sforzato la schiena di cristallo, s’è messo poi paura dei dolorini che ha avvertito, ha stato il test di Cincinnati, non è arrivato pronto a New York, è rimasto tropo in campo nei primi due turni e ha pagato dazio contro il primo avversario contro il quale non aveva un bilancio mostruosamente favorevole, Juan Martin Del Potro, ricadendo negli stessi errori di sempre. Perché, diciamolo: Federer passerà alla storia come un grandissimo tennista ed atleta, però troppo istintivo e poco tattico, ma soprattutto poco capace di interpretare le situazione e di afferrare l’occasione. In special modo agli Us Open, dove paga con una clamorosa astinenza, dopo i cinque trionfi 2004-2008, la sua superficialità da fenomeno. Nel 2009, perse col 19enne Del Potro avendo avuto due volte il match in pugno, nel 2010 e nel 2011 mancò tutt’e due le volte due match point, sempre in semifinale, e sempre contro Novak Djokovic agli albori. Nel 2012, si fece sorprendere dalla giornata di grazia di Tomas Berdych, nell’annus horribilis 2013, regalò il successo a Robredo con 43 errori gratuiti, nel 2014, pagò la rimonta-miracolo con Monfils nella semifinale con Cilic, e nel 2015, consegnò quasi in lacrime il testimone di re del cemento nella finale contro Djokovic. Per poi disertare l’edizione di dodici mesi fa.
Più degli svarioni di Federer, meravigliano i semifinalisti Nadal e Del Potro, due atleti così “fisici” gravemente segnati da infortuni, ma sempre in grado di esaltarsi. Mentre il bombardiere Kevin Anderson e lo spagnolo per tutte le stagioni Pabro Carreno Busta hanno saputo approfittare dei guai altrui e del vuoto di potere che si era registrato già in vigilia nel tabellone, con le rinunce di Djokovic, Murray, Wawrinka, Nishikori e Raonic. Che resta la sorpresa più grande di quest’edizione di New York.
Vincenzo Martucci (foto Luigi Serra)