Alto, elegante, mancino. Un altro aiutino? Gran bel servizio, attaccante, protagonista sul veloce, francese. Con queste informazioni chiunque, nel tennis, risponderebbe alla sciarada col nome di Guy Forget, già numero 4 del mondo, artista di doppio, poi capitano di Coppa Davis, e direttore sia di Parigi-Bercy che del Roland Garros. Ma il gentleman ha un erede che gli somiglia parecchio: si chiama Ugo Humbert, 21 anni, e sta cercando la sua strada nel tennis pro, passando per le Next Gen Finals all’Allianz Cloud di Milano coi migliori coetanei mondiali. Un talento in evoluzione, come ha detto anche nella terza edizione della passerella italiana dove ha impiegato due partite “per prendere contatto con la superficie e le condizioni”, e poi, anche se eliminato dalla corsa alle semifinali, sfoderare una super partita contro il nuovo idolo italico, il 18enne-prodigio Jannik Sinner.
Per il tennis francese, ricco di fondi, ma povero ultimamente di risultati, coi veterani sulla via della pensione e col deludente riscontro della classifica mondiale senza “top 20”, il ragazzo di Metz è una fortuna, la più bella sorpresa, il prospetto giovane con maggiori margini di progresso. E’ esploso l’anno scorso, quand’è passato in nove mesi dal numero 378 al 92, con uno sprint sui tornei Challenger dov’ha piazzato cinque finali in sette tornei, aggiudicandosene due, sempre in Italia, ad Andria e Ortisei, fino ad entrare fra i primi 50. E poi migliorandosi ancora quest’anno, quand’è arrivato al 46.
Il tennis non è il suo problema, i colpi ce li ha tutti, e ancor di più li trova se l’avversario gli dà ritmo, come ha fatto Sinner giovedì sera a Milano, il problema di Humbert è la gestione delle emozioni e esperienza che deve fare proprio sulla sua pelle, in campo, perdendo:“Pian pianino, imparo a essere più costante e a non andare fuori giri. Mi sto abituando alla gara e alla vita da tennista. Mi concentro sul gioco e mi sento più libero”. Accettare la sconfitta, non autodistruggersi come tendeva a fare lui, come fanno tanti giocatori di talento, come forse, ha smesso di fare dopo le qualificazioni del Roland Garros dell’anno scorso (perse d’acchito contro il belga Bemelmans): “Lì, ho proprio sentito che dovevo lavorare molto su di me. Non potevo più cadere in quei buchi neri, all’improvviso, mentre tutto andava bene. Non potevo farmi prendere così dalle emozioni”. Accettarsi è un gran passo avanti per qualsiasi essere umano: “Prima, rifiutavo la lotta, volevo fare il punto in due-tre colpi. Non provavo sempre piacere a fare scambi lunghi. Ma la mia visione del gioco è cambiata”.
Sono solide anche le sue radici. Figlio di genitori ristoratori, a Metz, sa che la vita da tennista è più affascinante e meno dura: “Papà si alzava alle 5 del mattino e rientrava la sera alle 8, i miei mi hanno trasmesso il valore del lavoro”. E anche della famiglia, come rifugio, come affetti: “Appena posso, rientro a casa e mi faccio una bella mangiata con loro, senza esagerare coi salumi. Non esagero quasi mai, anche nella vita, ma mi è capitato di rompere una racchetta, sul campo, e me ne sono pentito”. Di sicuro non entrerà nella ristorazione: “Ci penserà mia sorella maggiore, è troppo dura gestire trenta persone, io gestisco solo me stesso”.
Cresciuto presto fino a 1,88, magro magro, solo ora sta mettendo su un po’ di muscoli, ma pesa ancora 75 chili, Ugo sta vincendo la timidezza che l’ha attanagliato a lungo nella sua crescita. La sua via di fuga è stata la musica: “A 11 anni, ero il più forte francese della mia età ma, per la crescita, mi arrivarono infiammazioni continue a gomito, polso e spalla sinistra, e non ho più toccato la racchetta per un anno e mezzo. E’ stato difficile, il pianoforte mi ha aiutato molto. Allora, m’ha permesso di non avere pensieri, oggi, mi aiuta a pensare ad altre cose oltre al tennis. Faccio questo sport dai 5 anni, ho sempre voluto fare solo e soltanto questo, ma mi porto sempre dietro la mia piccola tastiera”.