“Il VAR cieco”, titola il Corriere dello Sport, “Campioni d’inVARno” gli fa eco Tuttosport, a proposito della gomitata di Bastoni non vista dal VAR, nell’azione del gol di Frattesi che ha permesso all’Inter di battere il Verona e laurearsi campione d’inverno. Sono due esempi freschi di titoli provocatori tra i tanti che riempiono le pagine sportive dei quotidiani. Una tecnica dichiarata per attirare l’attenzione dei lettori. Che vengono invitati a leggere dopo essere stati stuzzicati o magari talvolta anche pesantemente provocati da un titolo, diciamolo pure, aggressivo. Un interista che legge i due titoli sopra avrebbe ragione di indispettirsi (eufemismo)? Fino a provare rabbia per come vengono depressi i meriti della sua squadra? Davvero un titolo di giornale può generare una forma di rabbia nel lettore tifoso? Forse sì. I giocatori delle squadre rivali, qualunque esse siano, se esultano in faccia ai lui e agli altri tifosi o addirittura in faccia ai propri giocatori, possono generare ulteriore rabbia nel tifoso, già provato dalla digestione di un titolo provocatorio? Potrebbe anche essere. Può quindi il tifoso vessato da giornalisti, giocatori e tifosi “nemici” esplodere la propria rabbia con azioni violente? Naturalmente no. Può però almeno sfogarsi sul web, sui social, ad esempio se milanista o juventino, augurando la morte alla famiglia di Thomas Henry, attaccante del Verona reo di avere sbagliato il rigore del pareggio che avrebbe frenato la corsa in classifica dell’Inter? Ovviamente no. Ovviamente?
Forse, ahinoi, non così ovviamente, visto che in molti sul web – chiamiamoli geni fra gli webeti – senza giustificarli apertamente, trovano che i post abominevoli che “animano” (leggasi distruggono, rendendolo inaccettabile) il dibattito online siano comprensibili alla luce delle provocazioni giornalistiche o di qualche esultanza sopra le righe. Così, a fronte dell’intervento su X di Lia Capizzi, giornalista sportiva, per condannare senza se e senza ma l’elegante e simpatico augurio di morte alla famiglia di Henry di cui si è detto, capita che alcuni di loro rispondano come segue: “Non pensa che il giornalismo debba finalmente fare autocritica? Decenni di trasmissioni e articoli ripugnanti, che non hanno fatto altro che coltivare il sentimento popolare e avvelenare i pozzi, e questi sono i risultati?” Oppure, fonte un altro webete: “Quando vengono derisi gli avversari, quando si danno le gomitate in faccia, quando si continua a giocare con giocatori a terra, e stiamo parlando di 11 atleti, cosa ci si può aspettare da decine di migliaia di persone?”.
Insomma, se i giornali provocano e gli avversari non si fermano quando un giocatore della propria squadra è a terra (quando in realtà solo l’arbitro, regolamento alla mano, può interrompere o meno il gioco), allora non ci si deve stupire se sul web volino i peggiori insulti. I responsabili non sono gli autori delle frasi abominevoli, bensì i giornalisti e i giocatori avversari.
Tutto grottesco da sembrare ridicolo, se non raccapricciante. Un enorme coacervo di odio e ignoranza che c’è sempre stato – quello sì che ha avvelenato e avvelena i pozzi, altro che i giornalisti provocatori, anche se qualche eccesso c’è sempre in qualsiasi categoria – , ma che viene a galla solo in questi anni a causa dei social. Già i social, responsabili come giornali, tifosi e giocatori avversari dell’odio che fa marcire il calcio…: un’analisi perfetta, caro amico webete.
C’è una soluzione a tutto questo? No, perchè con gli webeti è impossibile dialogare. Semmai un tentativo – forse velleitario – di avvicinamento tra tifosi e addetti ai lavori potrebbe arrivare se la Federazione si decidesse a far parlare gli arbitri, non a caldo al novantesimo ma in conferenza stampa dopo il match. Forse con la spiegazione di un errore o di un mancato ricorso al VAR molti episodi verrebbero letti con più chiarezza e meno animosità. Lasciando qualche mugugno in chi sarebbe costretto, per onestà intellettuale, a dare ragione alla controparte. Questo però può funzionare coi tifosi per bene, magari arrabbiati, ma in grado di controllarsi e discernere tra un post sopra le righe e una minaccia da leone da tastiera. Parlare di webeti con onestà intellettuale è come parlare di ghiaccio bollente, un ossimoro in piena regola. No, gli webeti meglio ignorarli e abbandonarli a loro stessi.