Roberto Marcora, chi era costui? La domanda rimbalza da Pune, torneo ATP in India dove l’italiano semisconosciuto ai più, che il 13 gennaio ha raggiunto la classifica record in carriera di 171 ATP, supera le qualificazioni e poi infila il veterano Lucas Rosol e anche il numero 1 del torneo, il 19 del mondo, Benoit Paire prima di arrendersi agli ottavi a James Duckworth (n. 96). Il ragazzo di Busto Arsizio dal gioco elegante ma leggero, con un bel servizio e qualche limite di rovescio, compie 31 anni ad agosto, e sta facendo capolino nel tennis di prima fascia soltanto da poco. Nel 2017, ha esordito in un tabellone ATP Tour, a Ginevra, dopo aver superato le qualificazioni ha ceduto il passo a Kukushkin. Negli Slam, dove s’è azzardato dagli Us Open 2014, si è sempre fermato nelle qualificazioni. Complici problemi tecnici, come l’abbandono dell’allenatore e l’operazione alla spalla, conditi da una crisi di fiducia, con qualche proposito di abbandono del grande sogno da tennista professionista.
La sua storia non è una storia nuova. Il purgatorio di seconda fascia accomuna tanti talenti incompiuti, giovani rampanti e veterani in pre-pensionamento. I peones della racchetta che sono lontani anni luce dai ricchissimi e viziatissimi “top 10”. Ma la crescita tardiva, lo sbarco sul circuito maggior dopo i 30 anni non è una cosa nuovissima. Anzi, il tennis italiano sbandiera due casi clamorosi, quello dell’aretino Luca Vanni, che nel 2015 è arrivato al numero 100 a 30 anni e ha raggiunto una indimenticabile finale ATP, a Sao Paolo, e, soprattutto, quello del romano-senese Paolo Lorenzi, che ha toccato addirittura il 33° posto del ranking a 36 anni, nel 2016, quando ha conquistato il primo ed unico titolo, a Kitzbuhel.
Un rovescio di Roberto Marcora