Bello e buono sono due aggettivi semplici, chiari, essenziali come la fanciullezza. E sono gli aggettivi migliori per descrivere Roger Federer, l’ultimo simbolo che non tradisce i nostri sogni più puri.
Lo svizzero delle meraviglie è bello perché è armonico, in ogni gesto in campo come fuori, elegante, perfetto nella corsa come nel sbracciate, nei piegamenti come negli allunghi. Chiunque ami davvero lo sport ed il tennis, chiunque sia libero dal tifo estremista e partigiano, lo nota anche di più quando non c’è. E, ahinoi, il Magnifico diserta i tornei dal 30 gennaio 2020, dalle semifinali degli Australian Open contro Djokovic: si è rioperato al ginocchio destro e, complici i problemi di spostamenti per il Covid-19 della sua grande famiglia, si ripresenta in campo solo ora, a Doha, portandosi dietro tanti dubbi sulla condizione fisica (il compleanno numero 40 è l’8 agosto). Senza di lui, il tennis è andato avanti lo stesso: ci sono stati ugualmente servizi e dritto, rovesci e rispose, volèe e passanti, si sono disputati tornei, ci sono state grandi battaglie, si sono raccontate storie.
Ma è stato tutto un po’ più arruffato, meno nitido e preciso: sono mancati i suoi lampi, le sue invenzioni, il suo tennis da manuale. Mentre sono rimasti vivi i bollettini sul suo stato di salute, sui tempi del suo ritorno, sui riferimenti ai suoi record, sulle domande sul futuro.
Tornerà, non tornerà, come tornerà? Lo aspettavamo agli Australian Open, magari per un’altra miracolosa cavalcata come nel 2017, lo ritroviamo in Qatar, con un paio di filmati di presentazione che sono subito diventati cult sui social. Caspita! E’ uguale uguale a come ce lo ricordiamo ormai dal 2001 quando, a Milano, ha firmato il primo dei 103 titoli ATP, e ci ha accompagnato per vent’anni.
Bello come l’orsetto di peluche che ci faceva coraggio di notte da bambini, Roger è unico, completamente diverso da tutti gli altri tennisti che giocano lo stesso sport ma sono parzialmente riproducono le sue meraviglie. Dimitrov, ad esempio, a tratti, ripropone la plasticità del dritto di RogerExpress, Tsitsipas ha variazioni che lo ricordano, qua e là spuntano finezze estemporanee ed applauditissime, come certe accelerazioni di dritto di Fognini e sicuramente Djokovic e Nadal, come anche Medvedev e gli altri giovani in ascesa possono essere più efficaci e irresistibili di lui.
Ma le foto che ci regala il tennis senza Roger hanno sempre uno sbaffo, una imperfezione, uno strappo, una mezza a fuoco, un qualcosa che stona.
Federer, invece, se stecca – ebbene sì, succeda anche a lui – come un direttore d’orchestra è il primo a storcere il naso e a lamentarsi di sé stesso. Bello, semplicemente bello, come tutte le cose semplici e miracolose della vita, dall’aria all’acqua. Tanto che, da puri amanti del tennis, ci auguriamo fortemente che riproduca il miracolo del 2017 quando recuperò alla grande dai primi interventi al ginocchio e riscriva ulteriormente la storia: a Wimbledon, all’Olimpiade, se non addirittura al Roland Garros nel ricordo della favolosa e sfortunata corsa del 2019 quando incappò in una tempesta di vento proprio nella, semifinale contro Rafa. Con Torino che l’aspetta alle prime ATP Finals italiane del 14-21 novembre.
Federer non è solo bello, è anche buono come dev’essere per forza il papà di due coppie di gemelli. E’ buono come il marito più fedele e devoto. E’ buono come il campione devoto all’idolo Rod Laver gli intitola il torneo che organizza e non diserta il torneo di Basilea, vicino casa, dove ha fatto da raccattapalle.
E’ buono come il campione simbolo che, per alzare i premi dei tornei 250 e 500, ha rinunciato al bonus di fine stagione dei primi della classe. E’ buono come l’atleta-esempio che fa i complimenti al rivale storico, Rafa Nadal, quando viene agganciato a quota 20 Slam, record, e quando viene raggiunto a 310 settimane al vertice della classifica mondiale dall’altro rivale, Novak Djokovic.
E’ buono e bello come i sogni. Perché il primo sogno di chiunque faccia sport è diventare come il suo idolo e magari batterlo nella madre di tutte le finali, ma questo simbolo dev’essere candido: non può essere avvicinato al doping (nemmeno alla lontana), non può essere scalfito dalle polemiche, non può fare scenate e compiere gesti inconsulti in campo, non può perdere la testa (come il suo amico Tiger Woods), non può cadere nella tentazione del gioco d’azzardo (come Michael Jordan), non può essere che Roger Federer.