C’è da stropicciarsi gli occhi, da non credere dopo anni di delusioni, di promesse svanite come bolle di sapone. Era persino affiorato il dubbio che in Italia, al di là dei talenti che le discipline più ricche scippavano all’atletica, una volta accantonato il professor Carlo Vittori non ci fossero più tecnici in grado di plasmare un talento nella velocità.
Invece il Golden Gala all’Olimpico di Roma ci ha confermato che Filippo Tortu non è una chimera, la vittima sacrificale di un movimento troppo affamato di personaggi. Ha corso da veterano, mostrando quel talento che è solo dei grandi. I 200 metri sono una distanza complessa, non basta l’istinto per la velocità che nei 100 si può rivelare in modo quasi animalesco.
Duecento metri sono lunghissimi alla massima velocità e l’unico modo di affrontarli è con il massimo della decontrazione muscolare, cercando cioè di allungare al massimo i muscoli interessati per trovarli ancora abbastanza reattivi nella seconda metà del rettilineo finale. E leggerezza ci vuole anche nell’anima perché ogni pensiero sbagliato, come un tentativo di recupero su un avversario, si ripercuote sull’efficacia dell’azione, irrigidisce.
Pietro Mennea (primatista mondiale con 19”72 per 17 anni) aveva costruito insieme al professor Vittori la sua competitività sulla resistenza alla forza veloce. E la strada per migliorare tale qualità va oltre la sofferenza fisica. Ma diciamolo onestamente: con negli occhi sui 200 metri la curva che permise a Livio Berruti di conquistare sulla pista romana l’oro olimpico nel 1960, quella di Pietro tante volte era un pianto. La sua corsa strappava, pareva che continuasse a correggere la traiettoria per non uscire di corsia sconfitto dalla forza centrifuga. La sua resistenza gli permetteva poi sul rettilineo recuperi incredibili, come davanti alla scozzese Wells nella finale olimpica di Mosca Ottanta.
Tutti avevamo sperato di aver trovato il suo erede in Andrew Howe, quando vinse con 20”28 il titolo mondiale juniores a Grosseto. Ma Andrew, talento purissimo, si è perso in un gorgo di infortuni causati anche da una gestione sbagliata. Questi errori con Tortu non dovranno essere ripetuti e qualche garanzia c’è, prima fra tutte il padre allenatore Salvino che ha già dimostrato di saperlo proteggere.
Sulla pista dell’Olimpico Filippo ha corso una curva alla Berruti, elegante e naturale grazie a due piedi di eccezionale reattività. E’ sbucato sul rettilineo alla pari del canadese De Grasse (argento a Rio alle spalle di Bolt), ma a impressionare è la straordinaria facilità a trovare la frequenza, segno di grande equilibrio fra la potenza muscolare e la mobilità articolare delle anche. Questo equilibrio dovrà essere il filo conduttore della sua maturazione. La decontrazione c’è, basta vedere come ballavano le sue guance durante la corsa (vi ricordate il ghigno contratto di Mennea?).
Ora non commettiamo l’errore di chiedergli tutto e subito. Non dimentichiamo che festeggerà i 19 anni solo la prossima settimana, che ora ha davanti la maturità scientifica (importante quanto una medaglia mondiale). E soprattutto non carichiamolo di responsabilità nel deserto della nostra atletica. Anche Usain Bolt venne protetto dopo aver vinto il titolo mondiale juniores dei 200 a Kingston. Poche gare di alto livello con il diritto anche di divertirsi, di correre solo per se stesso e quando nel 2008 venne stato ritenuto pronto Usain spaccò il mondo riscrivendo la storia della velocità.
Filippo Tortu con il tempo dell’Olimpico ha ottenuto il minimo per i Mondiali di agosto a Londra. Vada, impari e si diverta. Ha davanti stagioni di allenamenti durissimi perché l’Olimpo è ancora lontano. Ma ora sa che potrà arrivarci.
Pierangelo Molinaro