C’è qualcosa di nuovo, ma soprattutto di antico, nella scelta di Andrea Pirlo da parte della Juve. La novità è l’idea di affidare la squadra reduce dal fallimento europeo – di questo si tratta, dopo l’eliminazione ad opera del Lione – ad un esordiente assoluto, che non ha mai allenato, anche se del calcio conosce tutto. Quando in Italia sono gli Agnelli a decidere, il coro dei consensi è quasi unanime, ma stavolta non mancano le voci che esprimono perplessità. Compensibili, per carità, ma fino ad un certo punto.
Senza scomodare gli esempi illustri di Guardiola e Zidane, è il passato che aiuta a capire. La storia della Juve migliore, la Juve bonipertiana, è piena di tecnici inventati di sana pianta e poi rivelatisi di assoluta affidabilità. Boniperti puntò su Armando Picchi, il capitano dell’Inter herreriana, per avviare il suo ciclo vincente. Picchi conquistò tutti con il suo lavoro, ma il destino lo colpì giovanissimo. Al suo posto, nell’incredulità generale, il plenipotenziario bianconero si affidò ad un vecchio amico, il boemo Cestmir Vycpalek, che conquistò i primi due scudetti, la prima finale della coppa dei Campioni e una finale di coppa Italia. La Juve di Vycpalek – ci sono i filmati, per chi voglia documentarsi – è stata una delle più spettacolari, con il talento e la freschezza di Causio, Bettega, Anastasi, la classe di Zoff, Capello, Salvadore, giocava un calcio d’esposizione molto bello, si notava l’influenza della scuola danubiana, il palleggio fitto, la capacità di imporre il gioco anche a livello internazionale, senza naturalmente trascurare la fase difensiva.
Qualche stagione dopo, Boniperti chiamò Giovanni Trapattoni: era la primavera inoltrata del 1976, lo scudetto era andato al Torino, autore di una rimonta storica, Carlo Parola fu liquidato per il giovanissimo biondino che, dopo un’esperienza positiva al Milan aveva già firmato per l’Atalanta. Boniperti, che lo aveva conosciuto in Nazionale – Trap esordì nel giorno dell’addio azzurro di Giampiero – ebbe un lungo colloquio, fu incantato dalle idee all’epoca rivoluzionarie del tecnico, che voleva rinunciare al regista classico per varare un centrocampo di impronta più europea. Nacque allora l’ideale di uno dei molti scambi con il Milan: Capello a San Siro, Benetti al Comunale. In dieci stagioni, Trapattoni ha conquistato sei scudetti (non sempre con una rosa straordinaria in rapporto ai tempi), due coppe Italia e tutte le coppe europee. Anche Dino Zoff, che fino a quel momento aveva fatto il preparatore dei portieri e il ct della nazionale olimpica, fu convocato sulla panchina più prestigiosa d’Italia dopo la parentesi di Rino Marchesi: con una squadra così così, se paragonata al Napoli, al Milan, all’Inter ed anche alla Sampdoria, vinse – prima di essere sostituito da Gigi Maifredi – la coppa Italia e la coppa Uefa nel 1990, un mese prima dell’inizio delle notti magiche di Italia 90.
Tutto questo non basta a promuovere Pirlo prima che dimostri il proprio valore di tecnico. La sua concezione del calcio è in linea con i programmi del club, orientato a rinnovare la propria immagine mondiale fin qui ancorata alla tradizione italianista. Si può obiettare che nella Juve attuale manchi un dirigente all’altezza di Boniperti, cioè un manager che abbia anche esperienza di campo, di partite, di vita dentro il calcio. Questa figura non è Nedved, troppo legato ad Agnelli in virtù di una lunga amicizia, né Paratici, che è un operatore di mercato, autore nell’ultima stagione di mosse improvvide, un uomo che si appoggia molti agli agenti procuratori. Ci vorrebbe un grande campione che abbia voglia di misurarsi alle temperature altissime del calcio contemporaneo, ma per ragioni diverse né Alessandro Del Piero, né altri ex hanno goduto di grande considerazione. Si sussurra ora il nome di Gianluigi Buffon, ma nessuno sa se abbia la stoffa del grande dirigente.