“Noi siamo questi”: è il dolce mantra che ha accompagnato la pallacanestro italiana dalla fine dell’Europeo all’inizio della nuova stagione. Significa che più di così gli azzurri non potevano fare, che nei quarti di finale contro lo strapotere fisico della Serbia fosse impossibile competere, che insomma siamo stati eliminati senza colpe dopo aver fallito l’ennesimo salto di qualità. Nonostante il fatto che, anche se nessuno lo ha voluto dire, la prova dell’Italia contro la Serbia fosse stata il punto più basso rispetto alle più recenti delusioni in gare decisive contro la Croazia, al pre-olimpico di Torino, o con la Lituania, agli Europei del 2013 e 2015. Ma “noi siamo questi” e più di così non si può fare. Io credo che lo sport sia esattamente l’opposto, è la storia di “questi” che ad un certo punto sanno diventare campioni. Senza sbrodolarsi di retorica, se nel 2003 la Nazionale avesse detto “noi siamo questi” non avrebbe mai vinto il bronzo eliminando Nowitzki e Parker. E non avremmo assistito a decine di “sorprese”, “cenerentole”, squadre sulla carta inferiori che raggiungono risultati insperati lavorando sul gruppo, inventando nuovi modi di giocare. Sono 14 anni che l’Italia non fa qualcosa in più dei minimi previsti. Ecco perché quando sento “noi siamo questi” capisco che, con una mentalità simile, non riusciremo mai a cambiare il nostro destino.
Il post Europeo ha portato a prese di coscienza, soprattutto del presidente Petrucci che ha ammesso, evidentemente, di aver sbagliato qualcosa in questi anni. Le lunghe riflessioni e analisi promesse per cambiare la situazione, hanno prodotto l’immediato ingaggio di Boscia Tanjevic come “direttore tecnico” federale. Premesso: è dal 2013 che mi permettevo di suggerire che la Nazionale avesse bisogno di un grande capo, che capisse di pallacanestro, che togliesse il presidente federale dal compito di analizzare le situazioni tecniche e valutare l’operato dell’allenatore. I cattivi rapporti personali tra Petrucci e Simone Pianigiani hanno pesantemente influito sui risultati della squadra fino a portare all’avvicendamento del c.t., pur qualificatosi al pre-olimpico, senza dare a Ettore Messina il tempo per lavorare sulla squadra. Doppio, grave, errore. Boscia ha tutto per essere il nostro Colangelo, il boss della nazionale americana che tratta i miliardari della Nba come vanno trattati giocatori di basket di una squadra, che si prende le patate più bollenti e le risolve senza mettere di mezzo l’allenatore. Peccato che poi Tanjevic abbia cominciato a occuparsi di tutto, eleggibilità, stranieri, italiani per squadra. Non è quello di cui ha bisogno la Nazionale. Anche in questo caso, l’analisi post Europeo sta partorendo solo progetti per cambiare il numero di squadre in A, modificare la quantità di stranieri e la loro etichetta. Sono vent’anni che si va avanti e indietro su questi temi a dispetto del fatto che ogni cambiamento si sia dimostrato irrilevante di fronte alla globalizzazione del basket mondiale. Io farei così, una volta per tutte. Si mettono delle regole: gioca in A chi ha un palazzo almeno da 5000 spettatori con aria condizionata e comodo per il pubblico che deve arrivare, in tre anni, a riempire sempre l’impianto; si iscrive solo chi ha bilanci in pari e pratica fairplay economico e deposita una fidejussione milionaria, non quelle da barzelletta di oggi, per dare una stabilità pluristagionale al sistema; può partecipare chi si impegna in un programma pluriennale sul settore giovanile in ogni categoria. Tutte quelle che hanno i requisiti, possono partecipare alla serie A: sono 12 squadre, 16, 20, 24? Chi ha i mezzi, gioca. Solo a quel punto posiamo inventare formule e adattarle alla situazione. Chi non ce la fa, resta in A-2, che è un bel campionato e merita più promozioni. Sapendo però che senza i parametri di cui sopra, vincere non basta per salire di categoria.
La stagione appena partita sarà divertente, le migliori sono di un livello più alto che nella passata stagione e Milano, la squadra nettamente più forte, dovrà stare attenta soprattutto perché non potrà andare a fare figuracce in mezza Europa come l’anno scorso. La storia dice che l’Olimpia ottiene i migliori risultati al debutto con un nuovo allenatore: ha vinto al primo anno di Banchi, Repesa e anche la stagione di esordio di Scariolo fu molto positiva, anche se si infranse contro la grande Siena. E’ quasi certo che la cosa si ripeterà con Simone Pianigiani. Che miracolosamente ha dotato la squadra di un playmaker, Jordan Theodore, capace, anche, di essere pericoloso in uno contro uno, cioè di penetrare e segnare con continuità. Potrebbe rappresentare la svolta anche in Europa. A patto che guardando i budget delle big continentali non ritorni la storia dell’impossibilità di competere con chi spende il doppio di noi. E’ la versione per i club dei “noi siamo questi” della Nazionale. Prima buttiamo via queste catene che ci legano, prima riusciremo a competere contro tutti.
Luca Chiabotti