Nei prossimi mesi il rugby mondiale potrebbe assistere a una rivoluzione che avrebbe pochi eguali al punto che Stephen Jones, dalle colonne del Sunday Times, non ha esitato a definire seconda solo all’introduzione del professionismo nel ’95.Alla fine di Settembre a Sydney il n.2 di World League Agustin Pichot, con l’avvallo del n.1 Bill Beaumont, ha proposto dal 2020 un nuovo torneo in sostituzione dei centenari tour di Giugno e Novembre. Si abolirebbe il tour estivo nell’Emisfero Sud e in autunno si disputerebbe una World League che permetta di collegare i singoli test-match annuali. Le migliori 12 del ranking – garantendo però sempre sei squadre dell’Emisfero Nord e sei di quello Sud – verrebbero divise in quattro gironi da tre ciascuno. È allo studio anche l’ipotesi di giocare i gruppi in quattro diversi Paesi. Le quattro vincenti accederebbero così a semifinali e finali. Questo “secondo Mondiale” – dopo la Coppa del Mondo – si giocherebbe alternativamente un anno al Nord e uno al Sud. In pratica un torneo annuale sul modello della nuova Uefa Nations League del calcio o della collaudata World League di pallavolo, alla quale probabilmente Pichot e Beaumont devono aver pensato (evidentemente senza troppi sforzi di fantasia, visto il nome assolutamente identico… anche se negli ultimi giorni sta prendendo piede un nuovo nome, sicuramente più rugbistico, la “Nations Cup”).
Il rugby internazionale andrebbe quindi verso una competizione per nazioni da disputare, almeno per le semifinali e le finali, in una sede unica. Un cambiamento non da poco, anzi opposto alla logica dei test-match estivi e autunnali che facendo sfidare le nazionali in sedi e momenti diversi portavano il grande rugby in diverse città del globo, rendendo accessibile a un bacino maggiore di appassionati la possibilità di seguire dal vivo le loro squadre. Ora invece sta prendendo piede l’accentramento delle sfide internazionali in un torneo a sé stante.
Una netta e del tutto inattesa inversione di tendenza rispetto a quanto concordato nel Marzo 2017, con la riforma dei test-match nella decade 2020-2032 che prevede un aumento del 39% dei match fra squadre di prima e seconda fascia (Tier 1 e Tier 2), impegnando le prime a trasferte nel Pacifico, in Georgia, Romania, Giappone, Canada e Stati Uniti, allo scopo di promuovere la crescita di quei movimenti.
PIÙ TIFOSI, PIÙ FASCINO, PIÙ SOLDI
L’ex capitano dei Pumas, terzi alla Coppa del Mondo francese del 2007, ha insistito però sulla necessità di assicurare la “sostenibilità tecnica ed economica del rugby internazionale attraverso una riorganizzazione profonda”, a partire da una competizione che attiri fan, network e sponsor (in particolare un main sponsor che darebbe il nome al torneo, come ha fatto per molti anni la Royal Bank of Scotland per il Sei Nazioni). È infatti il business la stella polare che ha mosso questa riforma, come inevitabile se si considera (come sottolinea The Guardian), che il 75% dei profitti mondiali generati dal rugby a XV derivano dalle sfide internazionali. Un torneo per nazionali che non tradisce l’alternanza tra Emisfero Nord e Sud permetterebbe di creare un Mondiale annuale che non scalfirebbe per niente l’importanza della quadriennale Coppa del Mondo, ma appassionerebbe i tifosi molto di più di partite singole di grande interesse ma sostanzialmente prive di un filo conduttore. Il Galles che in un test-match a Cardiff supera gli All Blacks fa scalpore, ma se questa sconfitta dei campioni del mondo avesse impatto sull’esito della Nations Cup, proiettando i dragoni in semifinale e rendendo molto concreta una clamorosa eliminazione della Nuova Zelanda,allora il risultato del match diventerebbe sensazionale.
MINOR IMPEGNO DEI GIOCATORI IN CALENDARI GIÀ MOLTO FITTI
Agli atleti sarà richiesto uno sforzo minore di quello attuale, salvaguardandone la salute alla luce dei numerosi appuntamenti coi club e lasciando invariati Sei Nazioni, Rugby Championship e i quadriennali appuntamenti con la Coppa del Mondo e coi British and Irish Lions. Alla Nations Cupogni squadra disputerebbe due o tre partite del girone ed eventualmente la semifinale e la finale, mentre oggi il tour di Novembre e quello di Giugno prevedono in totale 6-7 match.
PENALIZZAZIONE DELLE SQUADRE MENO BLASONATE
Il nuovo format della “Coppa delle Nazioni”prevede meno partite di alto livello per i Paesi di minor tradizione. Questi avrebbero quindi minori opportunità di sfidare le squadre più forti, impedendo così l’allargamento del movimento mondiale. I giocatori avrebbero meno occasioni per migliorare tecnicamente confrontandosi con un livello di gioco superiore e gli appassionati di coltivare il loro interesse facendo crescere i rispettivi movimenti nazionali, che si troverebbero a perdere gli incassi dei grandi match. Il rischio è di avere una manifestazione di grande impatto mediatico che soddisfi i paesi di prima fascia a danno degli altri, aumentando le distanze tecniche ed economiche fra i primi e i secondi.Per limitare questo pericolo, le ultime indiscrezioni parlano di un sistema di promozioni e retrocessioni (Tier 1 e 2), che consentirebbe alle squadre minori di ospitare, una volta promosse, le big.
Non si tratta comunque di una dicotomia manichea tra i soldi che fanno gola ai grandi e lo sviluppo del rugby negli altri Paesi, perché anche il business è un sistema complesso. L’Inghilterra si è subito dichiarata contraria, preoccupata dai minori introiti che deriverebbero dal più basso numero di partite che si disputerebbero nel tempio di Twickenham, dove un posto per i match internazionali può arrivare a costare fino a 132 sterline, prezzo che non pregiudica mai il sold out.
PIÙ DIFFICILE ACCESSO DEI TIFOSI ALLE MANIFESTAZIONI
Il minor numero di match e team in campo rispetto agli attuali tour limiterebbe fortemente i tifosi che potranno seguire dal vivo le sfide internazionali di maggior livello. L’ottica rivolta al business privilegerebbe quindi il pubblico televisivo a danno di quello dal vivo, essendo chiaramente il primo enormemente più grande del secondo. Questo non significa certo che assisteremo a un grande evento con stadi semivuoti, ma sicuramente il tifoso italiano che fino a oggi poteva seguire Italia-Australiaa Torino sarebbe costretto a viaggiare tra Europa ed Emisfero Sud.
RIFORMA VICINA MA… APPARENTEMENTE CONFUSA
Uno dei paradossi di questa Nations Cup è che sembra acquistare sempre più sostanza e partireeffettivamente dal 2020, sebbene quanto trapela da fonti autorevoli come il Sunday Times tradisca molta incertezza sul format, sull’effettiva distribuzione dei match nel calendario e anche sulla collocazione geografica. In un primo momento si è parlato se non di una sede unica anche per i gironi, di quattro nazioni, una per ogni gruppo. Successivamente è circolata voce chei gironisarebbero solo due, con sei squadre di cui prima e seconda promosse alle semifinali. Inoltre il periodo del torneo, anche alla luce dei due Tier, non sarebbe poi più concentrato solo a Novembre ma potrebbe abbracciare addirittura tutta la stagione. Insomma sembra regnare un grande caos, figlio anche della distanza siderale della Nations Cupdalla riforma dei test match del periodo 2020-2032. In realtà, è probabile che Pichot e Beaumont – che non sono per caso i capi del massimo organismo mondiale di rugby – stiano cercando di confermare il più possibile il format iniziale, quello più rivolto al business, mostrandosi tatticamente disponibili ad ascoltare le istanze di tutti. L’apertura a numerose concessioni verso i big scontenti come l’Inghilterra e le nazioni meno potenti alla fine della fiera non troveranno grossi riscontri. In termini politici, la sensazione è che passeranno ben pochi emendamenti delle opposizioni alla riforma di legge che il governo del rugby sta approvando.
In definitiva, da una parte un torneo dal grande fascino che non sovraccarica d’impegni i grandi giocatori e attrae sponsor, tv e tifosi, dall’altra il serio rischio di aumentare le distanze fra i Paesi più forti e gli altri.Cosa è meglio per il rugby mondiale?
LA POSIZIONE DELL’ITALIA
La situazione attuale dell’Italia è molto difficile. Mai come ora rischia di essere esclusa dal Sei Nazioni: il 10 Novembre a Firenzepotrebbe essere ferale un’eventuale sconfitta da quella Georgia già sopra di noi nel ranking e più volte citata dalla stampa inglese come antagonista degli azzurri. In questo contesto,la Nations Cupnel breve termine sarebbe per noi devastante. Al momento non è chiaro se parteciperebbero di diritto le squadre del Sei Nazioni o in ogni caso le 12 migliori del ranking (ora siamo al n.14), ma la seria prospettiva di non poter ospitare più ogni autunno due delle tre grandi dell’Emisfero Sud comporterebbe un danno enorme in termini d’incassi, sponsor, tv e crescita tecnica. Per non parlare del seguito di appassionati, già in evidente calo (anche il festoso pubblico dell’Olimpico non fa più il tutto esaurito, costante fino a due anni fa) e di sicuro sulla via del crollo se i nostri sfidanti passerebbero dal Sudafrica all’Uruguay, dall’Inghilterra alla Romania. Le prime parole del presidente federale Gavazzi sono infatti state di netta chiusura alla proposta di World Rugby.
Questa potenziale enorme crisi potrebbe però nascondere una grande opportunità. È proprio nella terra della prossima Coppa del Mondo, il Giappone,che ogni crisi è vista come forma di opportunità per cambiare le cose. Con la sola permanenza nel Sei Nazioni – peraltro per nulla scontata – come vetrina di lusso della Nazionale azzurra, il movimento sarebbe costretto per sopravvivere a stravolgere il proprio modello.Finora la FIR ha investito sul vertice del movimento: le prestazioni della Nazionale maggiore e delle franchigie impegnate in Celtic League e Challenge o Champions Cup, allo scopo di massimizzare la visibilità del rugby aumentandone il seguito. E se invece partisse dalla base? Dalle scuole rugby, dalla valorizzazione degli allenatori delle squadre più giovani, dalla promozione del nostro campionato nazionale (unica reale piattaforma su cui costruire una nazionale di valore),abolendo le famigerate accademie, come descritto dal nostro Senator Carlo Gobbi. Una strada molto più complicata e finalizzata al lungo termine. I ritorni nel breve periodo sarebbero garantiti, nella migliore delle ipotesi, dal Sei Nazioni, dal Super 12e dalle franchigie (Benetton e Zebre), in modo da poter comunque sostenere economicamente lo staff attuale della Nazionale, a partire dai nomi più prestigiosi e di maggior competenza come il ct O’Shea e il coach dei tre quarti Mike Catt. Assicurare risultati accettabili a livello internazionale concentrando gran parte degli investimenti federali sulla base del movimento è estremamente complicato e richiede eccellenti capacità manageriali e tecniche. Potrebbe essere davvero un obiettivo illusorio, ma con la strategia del vertice adottata negli ultimi vent’anni siamo al 14° posto del ranking, vicini all’esclusione del Sei Nazioni e ora col rischio di perdere i tre prestigiosi test-match di Novembre.
Si tratta di scegliere se mantenere lo status quo con la difesa dei tradizionali tour oppure ripartire quasi da zero, con la consapevolezza di abbandonare le sfide più prestigiose e poter raccogliere risultati importanti solo fra diversi anni, pur di garantire un modello organizzativo che permetta di allargare il bacino di giovani cui attingere nel medio-lungo termine.Cosa è meglio per il rugby italiano?
Ruggero Canevazzi