Simone Tartarini, come giudica questo 2021 del suo allievo Lorenzo Musetti?
“I primi sei mesi sono stati veramente buoni. Tanto che l’obiettivo di chiudere la stagione fra i top 100, grazie alla sua crescita esponenziale, è diventato entrare nei primi 50, per avere una programmazione più libera. Purtroppo però, dopo Parigi, più situazioni insieme ci hanno impedito di fare gli allenamenti e i passi più giusti”.
Che cosa è successo?
“Il primo intoppo è venuto dall’esame di Maturità. Forse, col senno di poi, sarebbe stato meglio rimandarla per fare una programmazione tennistica più adatta all’erba invece di sistemare il campetto da calcio, a casa. Sarebbe stato il caso rigiocare un paio di tornei prima di Wimbledon dove pure ha incrociato Hurkacz che poi è andato avanti fino alla semifinale battendo Medvedev e Federer. Dopodiché Lorenzo si è inceppato, soprattutto sotto il profilo mentale una volta che è saltata la programmazione che avevamo previsto per via della convocazione in extremis all’Olimpiade. Ovviamente Lorenzo ci teneva moltissimo, è un onore per tutti noi e per ogni atleta, ma Tokyo ci ha fatto cambiare i piani ancora una volta. E poi è subentrato anche un problema personale, diciamo di gioventù, e Lorenzo se l’è portato in campo”.
Dopo il quarto turno al Roland Garros e i famosi due tie-break strappati a Djokovic nei primi due set, Musetti non è più stato Musetti.
“Ha perso le certezze e poi la fiducia nel suo tennis. Ma non la voglia di lavorare: in undici anni che lo alleno non si è mai tirato indietro nel lavoro, nell’impegno, non l’ho mai dovuto rimproverare. Se hai altri problemi, nella sfera personale, quelli incidono per forza nello sport: Lorenzo è un ragazzo molto preciso ed ordinato, fatto a compartimenti, poche cose, il tennis, la musica, la famiglia, la nonna, è molto posato, lo definirei vecchio stampo, tradizionalista un 19enne di vent’anni fa, non moderno, e questi problemi nuovi lo hanno destabilizzato. Un assestamento era fisiologico dopo l’esplosione, così come ci voleva che facesse anche un’esperienza personale diversa, anche difficile”.
“Negli anni, io lo alleno da quando ne ha 8, sono stato per lui papà, mamma, poi zio, al quale racconti le tue cose più facilmente, poi amico, quindi coach col quale passi tutta la giornata e vedi più dei genitori: ho avuto più figure, anche da educatore”.
Un maestro di tennis che allena un fuoriclasse: è difficile?
“E’ vero, da giocatore al massimo sono stato B2, sono sempre stato un maestro di tennis, ho fatto le esperienze sul campo, non ho mai allenato professionisti, ma i miei ragazzi sono arrivati ai campionati italiani. All’inizio mi ero appoggiato alla Accademia di Mouratoglou, adesso ho un bel supporto tecnico da parte della Fit, attraverso Umberto Rianna. Ci sono tante tipologie di coach, ci sono anche genitori che funzionano meglio di qualsiasi allenatore professionista. Io credo che la conoscenza del gioco e della persona fanno il coach e credo che se avessi allenato un top 5 allora avrei conosciuto grossi problemi, non con Lorenzo”.
A Bercy abbiamo visto l’ex pro Flavio Cipolla in tribuna con lei: è entrato in squadra?
“Ma no, era con noi come coach di Mager col quale ci alleniamo qualche volta. Fra noi gruppi italiani abbiamo un bel rapporto: ci alleniamo con Sonego, con Fognini, ci scambiano informazioni”.
Per migliorare la qualità degli allenamenti non ha pensato di rivolgersi a Riccardo Piatti?
“No, perché dovrei andare da lui? Anche lui ha Sinner e non ha altri grandi sparring partner, io ho Giannessi e poi Lorenzo ha la residenza a Montecarlo e lì ha tutto quello che gli serve, a cominciare dai colleghi con cui allenarsi”.
“Abbiamo una settimana di buco e due di lavoro, dopo di che il 26 dicembre partiremo per l’Australia, quindi andremo in Sud America e poi in Nord America”.
Oggi tutti i tennisti giocano su tutte le superfici, Musetti dov’è più forte?
“La terra è la superficie dov’è cresciuto, ma gioca bene anche sul veloce, dipende dal suo livello di forma e di fiducia. Un po’ come Tsitsipas. Il problema è che Lorenzo parte da lontano nella riposta, e ci sta, anche altri si prendono quei quattro metri. Subito dopo, però, col secondo colpo, dovrebbe colpire da più vicino, invece lui rimane dietro: è un problema emozionale più che mentale, che commette soprattutto se non è in fiducia, perché agisce d’istinto e, per paura, va in laterale e non in obbliquo, e sul veloce non te lo puoi permettere”.
“Lorenzo è migliorato tanto alla risposta e nel servizio. Questa cosa della posizione la sa, in allenamento la fa, ma in partita non sempre gli riesce, perde il tempo del secondo colpo, che è fondamentale dopo il servizio e la risposta. Stiamo lavorando tantissimo sul diritto perché colpisca di più quando la palla sale ed usi di più la mano sinistra. Lavoriamo tanto anche al servizio”.
Fisicamente sembra un po’ indietro…
“Può crescere ancora, ma muscolarmente ha fatto grandi progressi. Però non è mai stato velocissimo di piedi e siamo cercando di sopperire alla velocità con la forza esplosiva. I test ci dicono che sta migliorando: la lentezza è mentale più che atletica”.
Come vive la concorrenza con gli altri italiani?
“Lui non sta a guardare tanto gli altri, sono piuttosto io che guardò certe cose che fanno e migliorano, se vincono o perdono, e tengo i punti di riferimento e l’evoluzione che fanno”.
Quali sono le maggiori difficoltà nel percorso di crescita di Lorenzo?
“E’ fin troppo un perfezionista. Si sa che non sempre si vince giocando bene, anzi. Lui invece ha perso 4-5 partite perché, a detta sua, si vergognava di come giocava, non colpiva la palla come voleva, si faceva proprio schifo”.
Che hobby ha?
“Ascolta soprattutto tanta musica, anni ‘70 e 80: s’è comprato un giradischi e si spara vinili a tutto spiano. Non legge tanto. La storia del tennis? Ultimamente gli ho spiegato chi erano Clerc e Vilas, perché lui più in là di McEnroe e Borg non va, e non guarda tanto il tennis in tv”.
Il problema dei belli, degli esteti, degli artisti, dei numeri 1.
Vincenzo Martucci (Testo e foto tratto da supertennis.tv)