Questione di pulpiti e di prediche. Tanto tempo fa, in una galassia vicina vicina, dopo
una contestatissima vittoria della Juventus, intervistato alla radio nel dopopartita, il
bianconero Furino si lamentò del comportamento degli avversari che alzavano le
braccia per protestare contro molte decisioni dell’arbitro. Insomma, qualcosa come
“è ora di finirla, bisogna comportarsi bene in campo”. Certo, il fatto che in epoca
precedente, pur negli anni Sessanta non brillantissimi per la Juventus (uno scudetto
nel 1961, ultimo bagliore dell’era Sivori-Charles, uno regalatole dall’Inter nel 1967,
un secondo posto, due terzi posti e poi piazzamenti dal quarto al dodicesimo), si
scoprisse che non subì rigori per oltre 70 partite qualche dubbio poteva pur nascere
sul rispetto che incuteva agli arbitri anche quando non era la squadra più forte. E
qualche dubbio sulla pretesa di rivendicare comportamenti sobri sarebbe venuto in
seguito, a causa di tante altre contraddizioni: lo stesso Furino che protesta in campo
quando è lui a ritenere di aver subito un torto, fino ad arrivare a Buffon e alla sua
famosa frase “l’arbitro ha un bidone al posto del cuore” dopo un rigore
evidentissimo assegnato al Real Madrid, e a Chiellini che in quella stessa partita si
rivolge ai giocatori madridisti accusandoli di aver pagato l’arbitro, con tanto di gesto
plateale. Guarda un po’, la stessa accusa che da decenni viene fatta alla Juventus e
che viene sdegnosamente respinta dalla società bianconera come segno di
immaturità sportiva!
Sul pulpito è salito recentemente anche Nedved in risposta alle accuse del
presidente della Fiorentina, Commisso. Più o meno le stesse parole di Furino:
“Bisogna smetterla con queste accuse alla Juventus”. In questo caso, a ricordare da
chi sia stata impartita la predica ha pensato Paolo Ziliani, su “Il Fatto quotidiano”. In
breve, citiamo: Nedved, da dirigente, inibito per un mese per accuse all’arbitro di
Juve-Sampdoria 1-2 nel 2013; 5000 euro di multa per proteste contro l’arbitro negli
spogliatoi dopo Juve-Lazio 1-3 in Supercoppa a dicembre del 2019; altri 5000 euro di
multa per insulti all’arbitro, addirittura dopo la vittoria per 3-0 contro l’Atalanta; da
giocatore, 5 giornate di squalifica per aver pestato un piede all’arbitro in Genoa-Juve
1-1 del 2006 dopo essere stato espulso per aver calpestato un avversario. Peccato
che queste cose le scriva solo Paolo Ziliani, sarebbe bello e utile apprenderle anche
da altri giornalisti e da altri mezzi di informazione.
Lo stesso Ziliani fa poi un ritratto urticante del presidente dell’Associazione Italiana
Arbitri, Marcello Nicchi, dopo un’altra giornata di prodezze all’incontrario da parte
degli arbitri. I riferimenti a comportamenti ritenuti ambigui sono numerosi, ma non
è il caso di riportarli. Qui, è preferibile ricordare qualcos’altro, che potrebbe risultare
interessante. Niente che possa portare a una specie di “impeachment” di Nicchi, ma
qualcosa che possa far riflettere. Intanto c’è da ricordare che Nicchi è diventato
presidente dell’AIA nel 2008, il mandato è quadriennale, ed è stato rieletto nel 2012.
Fino ad allora, c’era il limite di due mandati, ma proprio prima che scadesse il suo
secondo mandato, Nicchi si ritrovò come grazioso regalo un cambio di regolamento:
cancellato il limite dei mandati. Così può essere eletto per la terza volta. In base a
quali considerazioni fu cancellato quel limite? All’epoca, l’unico mezzo di
informazione che si scagliò violentemente contro questo cambiamento, dicendo che
era stato sollecitato dallo stesso Nicchi, fu il Corriere dello Sport. Fatto sta che, nel
silenzio generale, Nicchi si ritrovò a poter continuare come comandante in capo
degli arbitri in un silenzio omertoso.
Niente di irregolare, ma una sensazione di fastidio sì. Fastidio che si rinnova in
occasione di altre accuse rivolte, se non a lui personalmente, all’Aia, e quindi
indirettamente a lui. Il caso è quella di Elena Proietti, ex arbitro, che nel 2014 fu
colpita dal pugno di un giocatore che le provocò la sordità dall’orecchio destro e la
cecità dell’occhio destro, con una invalidità riconosciuta del 67%. Il giocatore fu
squalificato per 5 anni, ma solo per un colpo dato a un avversario prima di colpire
anche la Proietti. Il che significa che può tornare a giocare. Ma il punto
fondamentale è un altro. Elena Proietti protesta perché dice di essere stata
abbandonata dall’Aia. Ecco il testo di una sua dichiarazione pubblicata sul Corriere
della Sera: «Mi sono sentita abbandonata, soprattutto dall'Associazione Italiana
Arbitri. Sono stata 20 giorni in ospedale, non si è visto nessuno, ho ricevuto un paio
di chiamate il primo giorno, mi sono sentita davvero abbandonata. L'unica cosa che
mi è stata chiesta è stato il referto di gara per il giudice sportivo mentre io ero
ricoverata in ospedale». La vicenda è andata avanti fra le polemiche fino a quando
l’Aia le ha ritirato la tessera con la seguente motivazione: "aver gravemente e
ingiustamente e infondatamente criticato l'operato dell'AIA”.
Quello che però colpisce di più sono le parole di Nicchi, anche queste riportate dal
Corriere della Sera: «Questa ragazza ha avuto tutto quello che doveva avere. Sono
andati da lei dopo l’aggressione il presidente della sezione di Terni con due
collaboratori, è stata assistita, ha fatto causa, sono stati dati 5 anni di interdizione a
quel giocatore che avrebbe dato il pugno».
Da notare quel “avrebbe dato il pugno”, come dire che, insieme alla squalifica del
giocatore per aver colpito un avversario e non per aver colpito anche l’arbitro, la
stessa Aia non crede alla versione di Elena Proietti. Sensazione fastidiosa che si
accentua quando la questione viene portata in Tv, su La7 a “Non è l’arena”,
trasmissione condotta da Massimo Giletti, alla quale è invitato anche Nicchi, che
però non si presenta. Un inviato della trasmissione va a trovarlo e, di fronte alla
contestazione che a Elena Proietti è stata riconosciuta una invalidità del 67%, Nicchi
risponde così: "Questo lo diranno i certificati quando vedremo se ha perso la vista o
no". Ovviamente, Elena Proietti ha presentato i certificati che attestano la verità
della sua storia: colpo ricevuto, danni fisici, invalidità. Ma lasciando da parte tutte le
questioni giuridiche, sportive e penali, è sorprendente come Marcello Nicchi
proferisca frasi come “avrebbe dato il pugno” e “vedremo se ha perso la vista o no”.
Quantomeno, si può dire che non è stato elegante, quantomeno. Di sicuro, che non
ha molta fiducia in un arbitro del quale lui è il massimo rappresentante e che
dovrebbe sentirsi tutelato da lui.
Infine, un ricordo di quando Nicchi era sul campo. E’ un episodio molto meno
clamoroso dei casi citati da Paolo Ziliani, non può rappresentare un vero e proprio
atto d’accusa, ma può indurre qualche riflessione ulteriore. Nel campionato 1993-
94, il Foggia di Zeman lotta col Napoli per l’ultimo posto utile per partecipare alla
Coppa Uefa. E’ il secondo Foggia delle meraviglie, quello ricostruito interamente
dopo la cessione dei giocatori illustri della prima era-Zeman, gente come Signori,
Baiano e Rambaudi. E’ il Foggia che l’anno prima è ripartito con giocatori sconosciuti
di C1 e C2 (fra questi Di Biagio), che tutti i mezzi di informazione danno per
spacciato e retrocesso in B, a eccezione di un isolato giornalista della Gazzetta dello
Sport che invece pronostica un Foggia addirittura più forte del precedente. Il Napoli,
invece, è già in crisi economica e sopravvive a stento, prima di arrivare al fallimento,
ha bisogno di andare in Coppa Uefa per sopravvivere. L’intero “sistema calcio” spera
che il Napoli sopravviva, per questioni di incassi, di Tv, di prestigio, tutte cose che il
Foggia si ritiene non possa garantire, lasciando da parte la forte insofferenza verso il
suo allenatore, Zdenek Zeman, che rifiuta di inquadrarsi in questo sistema e che dà
parecchio fastidio. All’ultima giornata, si gioca Foggia-Napoli, con le squadre
appaiate a 34 punti. Chi vince va in Coppa Uefa (approfittando dello scontro diretto
fra Roma, a 33 punti, e Torino, a 34, con vittoria 2-0 dei giallorossi che si portano a
35; i 3 punti a vittoria scatteranno dalla stagione successiva). L’arbitro è proprio
Nicchi. Nel primo tempo, ci sono due clamorosi rigori per il Foggia, per plateali falli
in area, ma Nicchi non li concede. Il Foggia protesta, si innervosisce e nel secondo
tempo è punito da Di Canio. Finisce 1-0 per il Napoli che si porta a 36 punti, va in
Coppa Uefa e sopravvive per un’altra stagione, ma non interrompe la sua discesa,
che proseguirà con due retrocessioni in B e infine col fallimento nel 2004. Il Foggia
rimpiange i due rigori non concessi da Nicchi e manca un’impresa leggendaria: da
candidata numero 1 alla retrocessione fino all’Europa mancata, con giocatori che
partivano quasi tutti dalla serie C. Zeman non dimenticherà mai più quella partita e
mai più Nicchi. E, a quanto pare, non sarà il solo.